E’ stato uno degli attaccanti più prolifici della Lazio. Per lui con la casacca biancoceleste ben 86 reti in 203 partite di campionato. Bruno Giordano si è raccontato al Corriere dello Sport. L’ex biancoceleste, attualmente allenatore del Tatabanya – squadra ungherese che schiera tra le sue fila l’ex biancoceleste Tommaso Rocchi -, ha raccontato i suoi inizi di carriera e le sue ambizioni.
I suoi inizi: “Sono nato a Trastevere. Giocavamo per strada, piazza de’ Renzi era il nostro Flaminio e piazza Santa Maria l’Olimpico, anche se spesso i vigili ci portavano via il pallone. Ma a quei tempi un Super Santos costava pochissimo. Il primo campo “serio” – c’erano addirittura le porte – fu la parrocchia di Via Induno dove Don Pizzi, che ora ha 94 anni e che vado spesso a trovare, ci lasciava giocare fino a sera. La parrocchia ha salvato molti di quei ragazzi. Mia madre era contenta di sapermi lì dentro perchè eravamo controllati e si potevano evitare le compagnie sbagliate. Nel quartiere girava molta droga e c’erano molti piccoli furti. Ho perso molti amici a causa della droga. Calcio e parrocchia mi hanno salvato”.
Sei sempre stato laziale? “No, da bambino tifavo per la grande Inter di Burgnich, Facchetti, Sarti… Papà era romanista e trasteverino, quando mi cercarono i giallorossi i dirigenti gli dissero che mi avrebbero regalato anche un motorino e lui vacillò. Ma io avevo dato la parola alla Lazio ed allora mio padre mi accompagnò a Via Col di Lana, dove c’era la sede biancoceleste, per firmare. Ero piccolo, mi ritrovai circondato dalle foto di tutti i campioni della storia biancoceleste, mi sembrava di sognare. Papà dopo poco divenne laziale e io mi dimenticai di Mazzola e Corso“.
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Cosa pensa di Totti? “E’ un fenomeno ed in più ha sempre difeso Roma. Per la sua squadra resta l’uomo in più, come ragazzo merita 10 come il suo numero”.
Da allenatore non sta raccogliendo i successi avuti da giocatore: “Forse ho sbagliato a fare certe scelte. Spesso mi sono trovato in società con grandi problemi economici dove è stato impossibile sviluppare un progetto. A Crotone, Reggio Emilia e Messina non ho fatto male. Ma è difficile allenare con una società in crisi”.
Come si trova in Ungheria? “Le cose vanno bene, abbiamo fatto diciannove punti in dieci partite vincendo le ultime sei. Vogliamo vincere il campionato e spero, anche con il rientro di Rocchi, di riuscirci. Poi i colori della squadra sono bianco e celeste ed il simbolo è l’aquila”.
Il suo sogno nel cassetto: “Allenare i biancocelesti è il mio sogno. Lotito nel 2009 mi interpellò per farmi fare da raccordo tra società e squadra ma rifiutai. Mi sento allenatore, ho bisogno del rapporto con il campo. Guidare la Lazio mi piacerebbe molto“.

