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Lazio e calciomercato: immobilismo economico o delle idee?

Questa volta, di sicuro, non si può parlare di fallimento. La Lazio in alcune stagioni si è trovata a veder sfumare obiettivi di calciomercato ormai considerati acquisiti, sia nella sessione estiva sia in quella invernale. Da Honda a Yilmaz, da Felipe Anderson persino a soluzioni di ripiego come Biabiany e Bergessio, il gong di fine mercato spesso ha regalato amare sorprese ai tifosi biancocelesti.

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Stavolta nulla di tutto ciò è accaduto, perché non è accaduto proprio nulla. La Lazio non era presente a Milano, non c’erano obiettivi da rincorrere. E’ stata definita una trattativa per giugno, il portiere croato Vargic che a questo punto potrebbe essere il sostituto di Berisha (e allora perché trattenere Guerrieri?), mentre per tamponare l’emergenza di difesa è arrivato Bisevac, che a sua volta non sembra propriamente scoppiare di salute. Piuttosto che cercare il sostituto del sostituto, la Lazio si è accasciata al suolo ben prima di Dorando Petri, lasciando la maratona di mercato ad altri.

Quindi, tutti arrabbiati e scontenti, per l’ennesima volta? La verità è che un’analisi più ampia a questo punto è d’obbligo, perché l’ambiente laziale è ormai entrato in un loop che non permette di guardare le cose con la giusta lucidità. Gli inglesi usano un modo di dire molto efficace: “Buttare via l’acqua sporca assieme al bambino”. Eh sì, perché per analizzare l’operato societario, anche e soprattutto in sede di mercato, sembra non esserci via di mezzo. O c’è chi predica acriticamente gratitudine, riconoscenza e soddisfazione eterna, perché “Lotito ci ha salvato”, o chi chiede immediate dimissioni, cessione della società (come se si trattasse di vendere un pacchetto di caramelle, spiace dirlo ma in molti ragionano così) ed esilio fino alla terza generazione dei discendenti dell’attuale dirigenza, direttore sportivo compreso.

Noi cerchiamo di essere più equilibrati, ma anche più duri. Se hai voluto la bicicletta, mo’ pedali. Nessun “gestore”, troppo comodo a dirsi, ma un presidente che in quanto tale deve lavorare e riflettere quando le cose non vanno bene. E per la Lazio bisogna capire se l’immobilismo economico non vada di pari passo con l’immobilismo delle idee. Il problema evidente è uno: se non vendi, non compri. L’assioma “più spendi, più vinci” tanto sgradito al presidente Lotito non può essere certo sostituito da una lentezza elefantiaca delle trattative. Il punto è: la Lazio non spende o, più preoccupantemente, non opera?

Perché in un mondo del calcio in cui le risorse non sono più quelle dei tempi d’oro, movimentare il mercato sembra l’unica strada (rischiosa e senza garanzie di successo, certo) per colmare il gap con le superpotenze (oddio, superpotenze… la Juve, se restiamo in ambito italiano). La Lazio si autofinanzia ed ha scelto per questa stagione una strada conservativa. La squadra del terzo posto, puntellata da giovani (Hoedt, Milinkovic-Savic, Kishna al netto della scommessa-Morrison) che crescano e possano in futuro prendere il posto di qualche big in partenza, per mantenere l’ossatura della squadra solida. In questo sono state investite le risorse della società, senza cessioni che club come Roma, Fiorentina o persino Juventus hanno operato per aumentare la propria liquidità. Più preoccupante però è la mancanza di idee e la capacità di contatti e fare scambi: in questo anche il ruolo del DS Tare va valutato e rivisto. Eccellente talent-scout, Tare non sembra però al momento in grado di tessere quelle trame di contatti, soprattutto in Italia, che portano ad esempio la Juventus ad investire sul futuro, mettendo le mani su talenti come Mandragora, Caprari, Lapadula e Ganz. Potenziali pedine di scambio importantissime, a prescindere dal loro inserimento in una realtà già ai massimi livelli nel calcio italiano.

Il punto è: la strategia della Lazio paga? Il campo, molto semplicemente, sta dicendo di no. Curiosamente la notte del 31 maggio, in quel Napoli-Lazio, può essere considerata il crocevia di due strategie simili, ma che hanno portato frutti diversi. Sarri ha scommesso su un gruppo ferito dal mancato terzo posto, inserendo solo Allan oltre ai suoi fedelissimi ex Empoli. La squadra è risbocciata, al contrario di una Lazio che rispetto all’undici titolare dell’anno scorso ha perso a tempo pieno De Vrij, Mauri e Klose, senza considerare Parolo e Felipe Anderson che si trascinano stancamente in campo ed i continui infortuni di Lucas Biglia. Ma il Napoli negli anni ha sfidato la piazza cedendo a peso d’oro Cavani, Lavezzi ed altri idoli del “San Paolo”. Con quei soldi, è stato costruito un giocattolo scintillante.

Allora la strada per uscire dall’impasse qual è? Rassegnarsi alla cessione dei “pezzi grossi”? E se poi quei soldi non fossero reinvestiti efficacemente? Ragionamento sterile: l’operato della società è sempre sotto gli occhi di tutti, e nemmeno un battito di palpebre, come si è visto, sarebbe perdonato. Se da un Biglia o un Candreva ceduti arrivassero dieci Vargic, le conseguenze sarebbero inevitabili. Ma dalla cessione di un Hernanes sono arrivati i Parolo, i De Vrij, i Basta. Giocatori di qualità, che possono approdare solo muovendo altre pedine. Ecco, muoversi, molto semplicemente, potrebbe essere una buona idea: senza paura per qualche addio eccellente, ma pretendendo poi un investimento oculato delle risorse come questa società ha dimostrato di saper fare quando messa alle strette. Smettendola di invocare e aspettare uno sceicco che non arriverà mai, perché così è troppo facile. Anche per chi comanda, a cui può essere perdonata la mancanza di risorse, mai quella di idee per costruire una Lazio più forte.

Fabio Belli

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