La mattina del 30 maggio 1994 un colpo di pistola mette fine all’esistenza di uno dei calciatori più amato e venerato dai sostenitori giallorossi e, al tempo stesso, più rispettato dagli avversari sportivi che vedevano in lui sì un “nemico” ma anche un grande uomo, un calciatore che con la sua signorilità, in campo e fuori, in tanti anni di ribalta ha saputo farsi apprezzare anche da coloro che avrebbero dovuto “odiarlo”: Agostino Di Bartolomei.
“Dibba“, questo il suo soprannome, nacque a Roma l’8 aprile del 1955 e crebbe come calciatore nelle giovanili della società giallorossa. Carattere schivo e riservato, morì suicida a San Marco, la frazione di Castellabate dove viveva, sparandosi al petto con la sua pistola Smith & Wesson calibro 38.
Giorno nefasto, a dieci anni esatti dalla finale di Coppa dei Campioni persa dalla sua Roma (di cui era capitano) contro il Liverpool.Potrebbe interessarti
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Una carriera alla ribalta, lo scudetto del 1983, la finale di Coppa Campioni persa l’anno seguente all’Olimpico nella terribile notte di fine maggio con il Liverpool, ma anche un lento declino in una società che crede sempre meno in lui, fino alla cessione dopo tanti anni nella Roma al Milan, sotto la guida di Nils Liedholm, suo profondo estimatore.
Poi la fine della carriera. Ago avrebbe voluto allenare i bambini ma non ricevette nessuna chiamata dalla Roma e allora, oltre ad uno studio assicurativo a Salerno, aprì una scuola calcio a San Marco. Deluso dagli altri ma felice. Fino a quella terribile mattina di maggio in cui un secco colpo di pistola mise fine alla sua vita lasciando nell’aria oltre l’acre odore della polvere da sparo anche il ricordo di un personaggio d’altri tempi che non è riuscito a superare l’indifferenza di quell’ambiente sportivo che tanto lo aveva idolatrato nel momento del successo. Ma una cosa è certa, il suo ricordo resterà ben impresso nel cuore e nella mente di tutti i tifosi giallorossi e di quegli amanti del calcio di una volta dove contavano più i sentimenti che gli aspetti finanziari.

