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Stefano Mauri, in diretta su Radio Incontro Olympia, parla della sua Lazio tra presente e passato: La Lazio quest’anno deve puntare ai primi cinque posti del campionato. Poi deve vedere come va lì davanti e non precludersi la possibilità di lottare per un piazzamento Champions. Il ritorno di De Vrij è determinante. La sua presenza infonde sicurezza a tutti i compagni, in difesa serve un punto di riferimento che sappia dettare i tempi. E lui la gestisce benissimo.

Mauri fa una promessa ai tifosi: “Se sarò libero il 4 dicembre andrò in curva. Non sono mai andato in curva Nord, mi piacerebbe farlo per la prima volta nel derby”. Sulla scorsa stagione:Lo scorso anno si poteva fare molto di più. La squadra era la stessa dello scorso anno, quando siamo arrivati terzi. E’ innegabile che ci sono stati dei problemi. Alcuni dei quali non di facile soluzione, altrimenti lo avremmo fatto e saremmo tornati a giocare come l’anno prima. Non ho voglia di raccontarli ma non erano banali. Un’annata storta, nel calcio succede. Poi bisogna mettere un punto e ripartire l’anno dopo”.

Sull’attuale tecnico biancoceleste: “Inzaghi ha conquistato la panchina della Lazio in modo turbolento, sembrava l’ultima scelta, l’ultima ruota del carro. Invece sta dimostrando di meritarla. Ha vinto partite non giocando benissimo e adesso sta crescendo anche sotto quel punto di vista consolidando il suo lavoro, e non è casuale. Avere tanti giovani ha dei vantaggi e dei limiti. Ci vuole la giusta dose e nel momento giusto in campo. Inzaghi ha la giusta esperienza per fare queste valutazioni. Roma è una piazza difficile e quando le cose vanno bene i giovani ti danno grande spinta, quando non ci sono i risultati le pressioni aumentano e il giovane all’esordio è un rischio. Adesso devono essere tutti bravi a continuare su questa strada che è quella giusta. Inzaghi ha avuto subito la grana Keita. Le sue doti le conosciamo benissimo, e in questo momento è facile che riesca a comportarsi bene dopo la bufera estiva. Bisogna vedere se in futuro riuscirà a contenersi o scivolerà di nuovo su piccoli errori di gioventù. Adesso poi c’è Peruzzi che aiuterà a gestire queste situazioni. E’ importante aver inserito la sua figura, ne stanno beneficiando tutti e ha risolto tanti problemi. Penso sia stato determinante anche nella vicenda Keita. Sento diversi ragazzi che mi hanno detto quanto sia già stato determinante. Angelo è un grandissimo uomo ed è stato un grandissimo calciatore. Quando ha smesso di giocare speravo che la società lo scegliesse e lo prendesse per ricoprire quel ruolo. Ho anche cercato di parlare con la società per convincerli a trattenerlo. Certe figure di riferimento sono fondamentali fuori e dentro il campo. Lucas Biglia è riconosciuto come capitano dallo spogliatoio, parla poco ma ha grande personalità e carisma. La storia della fascia da capitano dello scorso anno è stata tutta colpa mia che me ne sono andato (ride, ndr)”.

Amarcord Lazio:Sono stato a Roma 10 anni, è diventata la mia casa. Porterò sempre con me l’affetto dei tifosi, in questi anni ho vissuto tantissime emozioni. Tutti gli allenatori che ho avuto, e quelli che avrò spero, avevano bisogno di un calciatore come me. Non sei mai sicuro del posto da titolare, ma sono consapevole delle mie caratteristiche tecniche. Spesso in campo si nota chi fa un dribbling o segna un goal, io ho sempre lavorato molto per i compagni lavorando sui movimenti senza palla o per liberare lo spazio al compagno. Un lavoro che spesso da fuori non si nota. Non saprei indicare un calciatore che possa avere le mie caratteristiche. Però oggi nella Lazio c’è Marco Parolo che gioca moltissimo per i compagni, recupera tantissimi palloni e segna sempre con regolarità. Sono numeri importanti, in campo corre e si sacrifica a beneficio della squadra. E poi è bravissimo a giocare aggredendo gli spazi, gli piace molto giocare negli inserimenti. Il giocatore più forte con il quale ho giocato è Klose. Lui era divertimento, in campo era bello e più facile giocare quando c’era lui. E’ un campione indiscusso, trasmetteva la gioia e l’amore per il calcio. Era un esempio con i suoi comportamenti. Alla sua età e con la sua carriera prestigiosa alle spalle era comunque sempre il primo ad arrivare agli allenamenti e l’ultimo a lasciare il campo. Era uno stimolo continuo, caricava tutto il gruppo. La gioia più grande è stata indubbiamente la vittoria del 26 maggio. Un’emozione indescrivibile, l’attesa è stata lunghissima e la posta in palio troppo alta”.

Articolo pubblicato da Fabrizio Piepoli il giorno 28 Ottobre 2016 09:00
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