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Simone Inzaghi story: “La Lazio era nel mio destino. Arrivai a Roma grazie a Mancini e…ad Anelka”

In una lunga intervista a Sky Sport Simone Inzaghi si è raccontato dagli esordi in serie A col Piacenza fino all’approdo in Nazionale con Zoff, passando per lo scudetto con la Lazio.

Simone Inzaghi esordisce ringraziando la famiglia: “Per me e Pippo i genitori sono stati il segreto dei nostri successi: ci hanno seguito e sono stati dei punti di riferimento. Per loro non è sempre stato facile: ricordo quando vinsi lo scudetto con la Lazio proprio a discapito della Juve dove giocava Pippo. Noi due abbiamo sempre giocato in attacco, non ci è mai piaciuto difendere, neanche quando giocavamo al parco con gli amici.

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Io più forte di lui? Lui è stato tra i 3 attaccanti più forti d’Europa, ha segnato più di 300 gol in carriera mentre io 100. Ci sarà un motivo… Dai 10 ai 15 anni è stato tutto in discesa per me, ma poi ho avuto problemi nel salto dalla Primavera alla Prima squadra al contrario suo. Dal Piacenza andai in prestito al Carpi perché De Biasi non mi riteneva pronto. Fu un’esperienza formativa, avevo 17 anni e mi distaccai dalla famiglia”.

L’APPRODO ALLA LAZIO

Poi si passa al suo esordio in serie A: “Il destino volle che fosse contro la Lazio. Segnare al debutto fu una cosa che mi porterò dentro per tutta la vita: cross di Rastelli e io che di testa anticipo Couto. Poi col portoghese sono diventato molto amico. Il destino aveva disegnato questo per me. A fine stagione mi cercarono molte squadre: mi chiamò anche Galliani. Poi mi chiamò Mancini e mi chiese se avessi piacere ad andare alla Lazio che aveva appena vinto la Coppa delle Coppe e venduto Vieri. Avevano trattato Anelka ma non si chiuse e dopo due giorni mi ritrovai a Roma a fare le visite mediche. Così è iniziata la mia storia alla Lazio.

Arrivavo in una grande città e in un club pieno di campioni. La concorrenza era tanta, fu un bellissimo ritiro e la mia prima partita in biancoceleste fu in Supercoppa Europea contro il Manchester United. Entrai al posto di Stam che si ruppe il naso. Entrò anche Salas e vincemmo la Coppa. Tre giorni dopo Eriksson mi fece giocare titolare e segnai su rigore.  Da Eriksson ho preso qualcosa, come dagli altri allenatori che ho avuto in carriera. Lui sapeva gestire bene il gruppo, sapeva coinvolgere tutti. Eravamo una squadra che in campo ragionava. Vincemmo lo scudetto meritatamente recuperando 9 punti dalla Juve. Avevamo una squadra di personalità e i veterani si facevano sentire da noi giovani.

LO SCUDETTO E IL POKER IN CHAMPIONS

Sul tricolore del 2000 racconta: “Dopo la vittoria a Torino grazie al gol di Simeone prendemmo consapevolezza. A -3 punti sapevamo di potercela fare. Loro erano sicuri di vincere col Perugia già salvo, poi successe quello che successe. Dopo la partita con la Reggina eravamo davanti ai monitor con Conceicao e Mancini a soffrire per la gara di Perugia. Ricordo che Almeyda era chiuso in bagno. Calori segnò a inizio ripresa. Per i miei genitori fu un pomeriggio difficile anche se adesso lo raccontano con un sorriso. Pippo al telefono mi disse: “Che cosa abbiamo combinato?”. Poi nei giorni dopo mi disse che era contento per me”. 

Il poker al Marsiglia uno dei ricordi più belli per Simoncino: “Fu la partita quasi perfetta perché sbagliai il rigore che mi avrebbe permesso di segnare 5 gol. Fu un record, nessun italiano ci è mai riuscito e mi tengo stretto questa cosa. Peccato che perdemmo col Valencia, potevamo fare di più in quella Champions perché eravamo fortissimi“. Chiosa finale sulla Nazionale:Fu un regalo di Zoff, realizzò il mio sogno da bambino. Ho giocato 11′ in campo con Pippo, contro l’Inghilterra, fu una grande emozione. E’ stato il punto più alto raggiunto dalla nostra famiglia a livello calcistico. Una serata indimenticabile per tutti noi”. 

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