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L’ultimo ‘miracolo’ di Tommaso Maestrelli

Traffico bloccato, vespe, motorini, macchine parcheggiate in seconda e terza fila, tra gli alberi e il marciapiede di viale di Tor di Quinto. Sono tanti i tifosi biancocelesti che arrivano da ogni parte. Sono arrivati da ogni quartiere appena la notizia ha cominciato a circolare: “Torna in panchina, è sicuro, lo scrivono i giornali, lo ha detto la radio della Rai”. Bambini con i papà, impiegati, operai, pensionati, professionisti, studenti. Cinquemila persone, forse di più. Chi non sa il motivo di tanta confusione si ferma a chiedere. I cancelli del centro sportivo aperti, intorno al campo un foltissimo gruppo di tifosi, i più fortunati sono aggrappati alla rete di recinzione e si guardano attorno per vederlo. La Lazio ha cambiato l’allenatore, Giulio Corsini dopo la sconfitta di Ascoli è stato esonerato. Sette giornate, cinque punti, quart’ultimo posto in classifica: solo una vittoria (a Genova contro la Samp, con il primo gol in A di Giordano), due pareggi (uno in rimonta nel derby grazie a Chinaglia) e tre ko. Ma adesso è tornato lui, il “Maestro“, il papà della Lazio più bella della storia, l’inventore del primo scudetto, di nuovo in campo con la tuta azzurra e la scritta S.S. Lazio sul giubbetto, pronto a guidare l’allenamento. E’ giovedì 4 dicembre 1975: la squadra lo ha già abbracciato nel parcheggio quando è sceso dalla sua auto. Ma anche loro, gli ex campioni d’Italia, quelli che hanno portato il tricolore sul petto, hanno lo sguardo rivolto verso la porta di legno dello spogliatoio di Tommaso Maestrelli. L’ingresso è da brividi: le mani tra i capelli brizzolati, la corda con il fischietto intorno al collo, un applauso che non finisce più. Si guarda intorno e saluta: è tornato a casa sua tra la sua gente. Il suo ritorno somiglia a un miracolo. Il 31 marzo era stato ricoverato presso la clinica Paideia per sottoporsi a un delicato intervento chirurgico, lasciando la squadra a Bob Lovati, suo vice: in un primo momento il professor Ziaco, il medico della Lazio, aveva nascosto la verità ai giocatori. Una bugia detta a fin di bene per prendere tempo nell’attesa di trovare le parole giuste: “epatocarcinoma”, un tumore al fegato molto aggressivo, la triste verità. A operarlo, il 7 aprile, era stato il professor Paride Stefanini. La lunga degenza, con sempre al fianco la moglie Lina, le figlie Patrizia, Tiziana, e i gemellini Massimo e Maurizio. Aveva perso quindici chili ma si era ripreso, aveva ricominciato a mangiare, era stato dimesso dalla Paideia e si era trasferito per trascorrere un periodo di vacanza con la famiglia a Rosa Marina, seguendo sempre la sua Lazio, affidata nell’attesa di un suo ritorno a Giulio Corsini. Il primo dicembre poi, la telefonata di Umberto Lenzini, la richiesta di tornare per aiutare una squadra che si era persa e non aveva più riferimenti, costretta a lottare per la retrocessione ad appena un anno e mezzo dalla conquista del tricolore. Maestrelli, ancora debole, aveva accettato per l’ennesimo atto d’amore verso i colori biancocelesti. E ora, il 4 dicembre, era di nuovo a Tor di Quinto. Una scelta di cuore perché non era guarito: i medicinali, la febbre, la stanchezza, eppure era sempre in tuta. “Sai Felice, a volte arrivo alla fine dell’allenamento che fatico a stare in piedi”, aveva confidato con l’affetto di un padre a Pulici. Non si lamentava mai però: cuore e dedizione, anche se le energie stavano finendo e i medici gli avevano ordinato di fermarsi. Ma c’era una promessa da mantenere: a Como il 16 maggio del 1976, nella giornata conclusiva di campionato, Maestrelli aveva trentotto di febbre, lo sapevano tutti. Era una giornata calda ma lui aveva freddo. Dopo diciassette minuti la Lazio perdeva 2-0 ed era in Serie B. “Vi dico che ce la farete anche stavolta”. Aveva ragione: il gol di Giordano, quello di Badiani, il pareggio, la salvezza. L’ultimo miracolo di Maestrelli.

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