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Sabatini: A Roma lo schernivano, ora Luis Enrique è il numero uno del calcio

I retroscena di Luis Enrique secondo Sabatini: dal sogno romano al trionfo globale con il PSG #Calcio #LuisEnrique #PSG

Walter Sabatini, l’ex dirigente che ha plasmato il calcio italiano con scelte audaci, ricorda con nostalgia e ammirazione l’arrivo di Luis Enrique alla Roma nel 2011. Insieme a Franco Baldini, Sabatini puntò su un’idea rivoluzionaria di gioco, un’utopia che affascinò ma non conquistò la Capitale. Oggi, con Luis Enrique alla guida del PSG che ha spazzato via il Real Madrid e sfiora il titolo mondiale per club, l’ex direttore sportivo offre un’analisi profonda in una intervista a La Gazzetta dello Sport. Le sue parole svelano come un progetto ambizioso sia maturato nel tempo, suscitando curiosità su come un tecnico possa trasformarsi da incompreso a maestro assoluto.

SI RICORDA DI LUIS ENRIQUE – «Certo, ho affetto e stima profonda sia per l’uomo sia per l’allenatore. Me lo segnalò Dario Canovi, che era in contatto con il suo agente. Poi mandai Ricky Massara e Pasquale Sensibile a vedere un paio di partite del Barcellona B. E tornarono estasiati dal suo modo di giocare».
In questo passaggio, Sabatini sottolinea il suo legame personale con Luis Enrique, rivelando come un consiglio esterno e osservazioni dirette abbiano confermato il potenziale del tecnico, accendendo l’interesse su una scelta che sembrava innovativa fin dall’inizio.

LA CRESCITA DELL’UOMO – «È cresciuto e invecchiato. Ma soprattutto è passato da una tragedia immensa come la scomparsa di Xenia, la figlia. Ma Luis ha saputo reagire in modo superbo, con una dignità eccezionale: non vuole essere compianto, consolato. È come se avesse un patto segreto e intimo con la figlia, quasi come se si parlassero. È una questione di fede e credo che ogni sua vittoria o esultanza sia dedicata alla bambina».
Qui, Sabatini evidenzia la resilienza umana di Luis Enrique, collegando la sua forza interiore a eventi personali drammatici, che fanno riflettere su come le esperienze di vita possano influenzare il successo professionale e motivare i lettori a scoprire di più sul lato umano dei campioni.

IL PSG “INGIOCABILE” – «Oggi è la squadra più forte di tutte, guidata dal miglior allenatore del mondo. Giocano con un’autorità e un ottimismo incredibile. Pensano di riuscire a fare qualsiasi cosa perché poi con la palla fanno qualsiasi cosa. Contro ogni avversario. Hanno dei talenti incredibili, giocatori di uno spessore superiore. E Luis riesce a fargli giocare un calcio sublime e concreto: movimenti incessanti, cambi di posizione e di ruolo. I giocatori hanno una fede incrollabile in ciò che fanno e questo è sicuramente un merito dell’allenatore».
Sabatini descrive con entusiasmo il dominio del PSG, enfatizzando il ruolo di Luis Enrique nel trasformare talenti in una macchina vincente, un’analisi che incuriosisce i fan sul segreto di una squadra che sembra imbattibile e pronta a dominare ogni sfida.

LA DIFFERENZA CON IL PSG DELLE STELLE – «Perché quelli erano giocatori straordinari, ma non disponibili al sacrificio. Guardate invece come gioca oggi Dembélé, con una generosità eccezionale. O Kvaratskhelia, che rincorre l’avversario per 60 metri… E poi Desire Doué, che è il più forte di tutti, ma è sempre pronto al sacrificio. Il Psg è una squadra piena di fede e orgoglio».
In queste righe, Sabatini contrappone il PSG attuale a versioni passate, focalizzandosi sul cambiamento culturale verso il sacrificio, che invita i lettori a ponderare come l’impegno possa fare la differenza tra stelle solitarie e un team coeso.

VINCERA’ IL MONDIALE – «Penso di sì. Anzi, senza il penso. Sì, lo vince. Luis Enrique lì è riuscito a realizzare il suo progetto calcistico, quello che voleva mettere in piedi anche a Roma. Ma sono contento di quanto sta facendo Maresca al Chelsea. È un allenatore bravo, giovane, uno che fa bene al calcio italiano».
Sabatini esprime una convinzione assoluta sulla vittoria di Luis Enrique, collegandola al suo progetto ideale, mentre menziona un altro tecnico per contestualizzare l’impatto sul calcio, stimolando curiosità su potenziali successi futuri e l’evoluzione di allenatori emergenti.

PERCHÉ A ROMA NON FUNZIONÒ – «Semplice, l’ambiente non lo ha trattato decorosamente, c’è chi lo chiamava addirittura Stanlio. E lui di tutto ciò rimase dispiaciuto. Io, Baldini e Pallotta lo abbiamo supplicato di restare, ma non ne ha voluto sapere. Il Psg ha rinunciato alla propria strategia di acquisire giocatori, puntando tutto sui giovani. Ecco, se a Roma avesse trovato la stessa fiducia che ha trovato a Parigi allora sarebbe stato diverso».
Qui, Sabatini spiega il fallimento romano con dinamiche ambientali, evidenziando il contrasto con l’esperienza al PSG, un commento che fa riflettere i lettori sulle influenze esterne che possono cambiare il destino di un progetto calcistico.

LA SUA ROMA AVEVA GIOVANI DI LIVELLO – «Sì, ma ci sarebbe voluto un indirizzo comune e forse qualche errore l’abbiamo commesso anche noi con lui. Ma Luis era l’idolo dei giocatori, tranne due o tre. De Rossi era affascinato, veniva spesso nel mio ufficio per dirmi che gli sembrava la prima volta che giocava al calcio visto che Lucho chiedeva ai giocatori cose a loro sconosciute».
Sabatini ammette errori interni mentre celebra l’impatto di Luis Enrique sui giocatori, come rivelato da De Rossi, suscitando interesse su come idee innovative possano ispirare e trasformare un gruppo, anche in contesti difficili.

L’UOMO E L’ALLENATORE – «Le due cose coincidono, perché se sei un bravo psicologo ma un somaro sul campo i giocatori poi ti scoprono subito, immediatamente. Lui poi è una persona di spessore notevole, a livello umano ma anche intellettuale».
In questa conclusione, Sabatini unisce l’aspetto umano e professionale di Luis Enrique, sottolineando l’importanza di un equilibrio reale, un’osservazione che lascia i lettori con una riflessione profonda sul vero significato del successo nel mondo del calcio.

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