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Matteo Materazzi e la SLA: divorato dalla malattia, un milione e mezzo per l’ultima chance, pace con Marco sul campo della vita

La commovente lotta di un campione dietro le quinte: l’appello della famiglia Materazzi per sconfiggere la SLA

Immaginate una battaglia epica, dove il coraggio di una famiglia contro una malattia spietata ispira e fa riflettere: è la storia di Matteo Materazzi e la sua lotta contro la SLA, raccontata con cuore dalla moglie. Un appello che unisce amore e urgenza, ricordandoci quanto ogni secondo conti. #LottaControLaSLA #ForzaFamigliaMaterazzi

In una testimonianza che colpisce dritto al cuore, Maura Soldati, moglie di Matteo Materazzi, apre le porte alla sua vita privata, condividendo con il Corriere della Sera i dettagli di una sfida quotidiana contro una forma rara e aggressiva di SLA. È un racconto che mescola dolore e determinazione, dove la famiglia si stringe intorno a Matteo, incluso il fratello Marco, tornato a essere un pilastro in questo momento cruciale. Questa storia non è solo un grido di aiuto, ma un invito a riflettere su come l’amore possa trasformare l’impossibile in speranza, attirando l’attenzione su una lotta che potrebbe riguardare tutti.

“L’obiettivo è salvare la vita di mio marito e di chi in futuro affronterà la stessa malattia. Penso anche ai nostri figli, Geremia di 18 anni e Gianfilippo di 16, che hanno fra il 15 e il 20% di possibilità di sviluppare la medesima mutazione”. Queste parole di Maura evidenziano la posta in gioco, trasformando la loro battaglia in un appello universale per il futuro, un elemento che incuriosisce per la sua portata emotiva e familiare.

Mentre la situazione clinica di Matteo si complica, “Abbiamo solo una speranza, creare una terapia ASO personalizzata per la mutazione rara che lo ha colpito. Nel suo caso, poi, c’è una difficoltà in più: la proteina che si accumula nelle cellule neuronali e che le intossica è anche funzionale alla cellula stessa. Il che rende la ricerca di una cura più difficile”. Questa citazione sottolinea la complessità della malattia, spingendo il lettore a chiedersi come la scienza possa fare la differenza in tempo reale, in una corsa contro l’orologio che affascina per il suo mix di urgenza e innovazione.

I costi e i tempi rappresentano un ostacolo enorme, come rivelato da Maura: “Siamo in contatto con la Columbia University e il dottor Shneider, un pioniere. Servono un milione e mezzo di dollari. E tempo. Un anno, ma chissà se lo avremo”. È un dettaglio che accende la curiosità, facendoci interrogare su quanto vicina sia la salvezza e su come piccoli contributi possano cambiare il corso di una vita.

I primi sintomi della malattia emergono in modo graduale e inquietante, come narrato da Maura: “Da una forte depressione, che lo ha portato a chiudersi, a non voler più uscire con gli amici. Ci hanno spiegato che potrebbe essere stata il preludio alla malattia. Ha iniziato a zoppicare, pensava di essersi fatto male saltando una staccionata. Cadeva spesso, camminava in modo robotico, si stancava molto. Ma non voleva fare esami, non gli è mai piaciuto”. Queste parole creano un senso di suspense, invitando a riflettere su come le malattie possano iniziare in modo subdolo, simile a un avversario invisibile in una partita decisiva.

Il modo in cui la famiglia ha gestito la notizia con i figli è stato diretto e carico di emozione: “Tornando a casa ho provato a chiamare la mia psicologa per un consiglio, ma non mi ha risposto. Sono stata diretta con loro, senza troppi giri di parole. Quando l’ho sentita, mi ha detto che ho fatto bene”. Questo passaggio aggiunge un tocco umano, suscitando interesse sul coraggio necessario per affrontare simili conversazioni.

La reazione della famiglia è stata un misto di dolore e resilienza: “Abbiamo pianto per una settimana intera, giorno e notte. Poi abbiamo reagito. Io sono una persona pragmatica, lui ottimista per natura”. È un’affermazione che ispira, mostrando come il superamento del lutto possa trasformarsi in azione, un tema che cattura l’immaginazione per la sua forza interiore.

Oggi, la condizione di Matteo è precaria: “In pochi mesi ha perso l’uso delle gambe, finendo sulla sedia a rotelle. Oggi non muove più neanche le braccia, solo un po’ le mani. La malattia sta avanzando velocemente. Vorrebbe vedere crescere i figli ma non ci crede. È realista, il 50% di malati di Sla muore entro tre anni”. Queste parole, cariche di realismo, invitano a una riflessione profonda, alimentando la curiosità su quanto sia fragile e preziosa la vita.

Infine, il rapporto con il fratello Marco ha trovato nuova linfa: “Per anni hanno avuto un rapporto complicato, ma dall’inizio della malattia sono tornati a parlarsi quotidianamente. Anche Marco si sta spendendo nelle sue possibilità, non possiamo dimenticare che ha una famiglia. Ma è accanto a lui, come tutti noi. E di questo Matteo è felicissimo”. Questa chiusura sottolinea il potere della famiglia e dell’amicizia, lasciando un senso di speranza e unità che risuona come un vero inno alla resilienza umana.

Articolo pubblicato da Redazione Laziochannel il giorno 3 Agosto 2025 12:14
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