L’ex portiere Peruzzi racconta una vita tra calcio e semplicità: Dal campo all’orto, una storia che affascina! #CalcioStorie #PeruzziVita #ExCampioni
Immaginate un ex campione del calcio che, dopo anni di riflettori e gol, sceglie la pace di un orto per trovare la vera gioia. È proprio ciò che ha condiviso Angelo Peruzzi in una chiacchierata sincera su Vivo Azzurro TV, rivelando aspetti intimi della sua carriera e della vita quotidiana. Con umiltà e senza rimpianti, Peruzzi ci porta in un mondo dove il calcio non è solo trofei, ma emozioni autentiche che continuano a ispirare.
Parlando del suo approccio al gioco, Peruzzi ha confessato una filosofia semplice e motivante: “Non mi è mai fregato nulla di essere bravo o meno – ha dichiarato Peruzzi – volevo solo far bene. Mi dispiacevo tantissimo se sbagliavo”. Oggi, lontano dai campi, non ha dubbi sul suo percorso: “Ho lasciato il mondo del calcio, non me ne pento. Sto bene così come sto, senza frenesia di dover rientrare o altro. Mi basta vivere con le cose più semplici, godendomi di più la famiglia e facendo ciò che voglio”. Queste parole invitano a riflettere su quanto la serenità possa valere più di qualsiasi carriera stellata, rendendo la sua storia un esempio di equilibrio.
La routine di Peruzzi ora è immersa nella natura del suo paese natale, Blera, in provincia di Viterbo. Qui, tra terra e piante, trova la felicità più pura: “Vivo ancora a Blera, ma fuori dal paese, nella natura. Mi piace curare l’orto, zappare la terra: cose semplici, che mi danno gioie”. È un ritratto affascinante di come un’icona del calcio possa riscoprire se stessa in attività tanto basilari, suscitando curiosità su quanto il semplice possa arricchire una vita un tempo piena di adrenalina.
Guardando indietro, Peruzzi ricorda con affetto i suoi inizi, condividendo un aneddoto divertente che cattura l’essenza del destino: “Quando avevo dieci anni dovevamo giocare una partita di scuola, il classico sezione A contro sezione B. Non c’erano ruoli definiti, la maestra ci fece saltare dentro la porta per vedere chi riusciva a toccare la traversa: lo feci, così venni messo in porta”. Poi, non può fare a meno di elogiare una figura chiave della sua ascesa, l’allenatore che lo lanciò: “Era una grandissima persona, davvero eccezionale. Faceva delle battute con atteggiamento serio, non sapevi mai se dovessi ridere o meno. Mi fece esordire a 17 anni e voleva che restassi come secondo alla Roma, nonostante l’usanza fosse mandare i giovani in Serie B. Ebbe in me una fiducia enorme”. Queste storie non solo intrattengono, ma fanno risaltare il legame umano che spesso manca nel mondo del calcio moderno.
Infine, Peruzzi sottolinea quanto i tifosi abbiano segnato il suo cammino, specialmente con la Lazio, trasformando ogni ritorno in un momento emozionante: “Ogni volta che sono tornato da ex ho ricevuto gli applausi della curva. Quando vai via e l’anno dopo vieni accolto così, è una grande gioia: vuol dire che hai lasciato un buon ricordo. Per me vale quanto vincere un trofeo”. Questa connessione sincera con i fan è un promemoria toccante di come il calcio sia fatto di persone, lasciando il lettore a chiedersi: cosa rende davvero indimenticabile una carriera? La storia di Peruzzi, tra successi e quiete, continua a ispirare con la sua autenticità.
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