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Taty Castellanos si confida in un’intervista esclusiva: ispirazioni segrete e sogni da bomber! #Lazio #Calcio #Argentina #Intervista

Immaginate un attaccante che ha conquistato il mondo del calcio con gol mozzafiato e una passione travolgente: Taty Castellanos, il bomber della Lazio, apre il suo mondo in un’intervista intima. Dalle ispirazioni ai sacrifici, le sue parole svelano un percorso ricco di emozioni, lasciando i fan a chiedersi cosa lo spinge davvero verso i grandi palcoscenici. Scoprirete dettagli che rendono questo sport ancora più affascinante, dalle icone che lo motivano ai sogni per il futuro.

Nel racconto del suo esordio con l’Argentina, Castellanos rievoca l’eccitazione di un momento atteso tutta la vita. “L’esordio con l’Argentina? Il 5 settembre è passato un anno. Non mi ero nemmeno scaldato, vincevamo 3-0 e aveva appena segnato Julian Alvarez. Ho guardato Scaloni che mi ha detto: ‘Taty sbrigati, vieni!’. Ho messo subito la maglia e sono entrato. Mi ero preparato tutta la vita per quel momento.” E non manca la foto con Messi, che lui descrive come un’esperienza unica: “La foto con Messi? Gliel’ho chiesta in allenamento, l’ultimo prima della partita. Quando sono arrivato mi ha trattato molto bene, come a tutti gli altri ragazzi che erano nuovi in squadra. È una persona che non parla tanto, sta con il suo gruppetto composto da De Paul, Paredes e gli altri. Comunque con noi si è comportato in maniera spettacolare, anche durante gli allenamenti. Lui è il tipico leader silenzioso, viverlo da dentro è incredibile perché noti dettagli che da fuori non si vedono. È il migliore della storia e lo sarà ancora per molto tempo.” Chissà quali altri segreti nasconde questa amicizia?

Passando ai suoi idoli, Castellanos non nasconde l’ammirazione per figure leggendarie. Parlando di Maradona e Messi, confessa: “Il tatuaggio ‘El mas humano de todos los dioses’? Siamo una famiglia molto ‘Maradoniana’, soprattutto i miei fratelli. Io non l’ho vissuto come giocatore, ho visto molto di più la sua seconda parte di vita. Avevo voglia di tatuarmi qualcosa di argentino e ho scelto Diego. Anche di Messi vorrei tatuarmi qualcosa, un suo autografo magari sulla gamba. Non ho ancora avuto l’opportunità, ma voglio farlo. Loro due sono i migliori della storia del calcio argentino. Io ho avuto l’occasione di godermi a pieno Messi e anche di giocare insieme a lui, voglio che tutto questo resti sulla mia pelle.” Queste parole fanno riflettere su come le leggende del calcio influenzino i giovani talenti, lasciando spazio a curiosità su cosa significhi portare questi simboli sulla pelle.

Dagli inizi in Argentina e Cile, emerge un percorso tortuoso che stuzzica l’immaginazione: “Io sono un argentino di sangue proprio, non ho nessun’altra origine o un passaporto diverso. Ma non ho mai giocato in Argentina ed è una cosa strana. Spesso mi chiedo il motivo, non è successo per situazioni diverse, potevo giocare nel Lanus o nel River Plate, ma alla fine non è successo. Ho giocato nel Murial, una squadra del quartiere di Mendoza, e avevo il potenziale per andare altrove. Ho fatto un provino con l’Universidad de Chile e mi hanno preso. Lì sono stato quasi un anno giocando nelle giovanili e riuscendo anche a debuttare in prima squadra, in Copa Sudamericana, con Beccacece in panchina. Tra l’altro c’erano stati problemi dei burocratici che non mi avevano permesso di giocare prima, sono stato fermo quasi 8-9 mesi fino ai diciotto anni quando ho firmato il mio primo contratto da professionista e ho esordito.” È inevitabile chiedersi come avrebbe cambiato le cose un debutto diverso nella sua terra natia.

Parlando della lontananza dalla famiglia, Castellanos rivela la parte più umana del suo viaggio: “Quando vai via da casa ciò che ti manca di più è la famiglia, il vivere quotidianamente amici e parenti.

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Sin da bambino però avevo il sogno di giocare a calcio, dovunque. I primi mesi sono sempre i più difficili perché non sai cosa succederà in futuro. Io in Cile giocavo poco, avevo tanti problemi, non avevo un contratto, mi pagavano poco, mi mancava mia nonna, mio padre e tanto altro. In quel momento ti chiedi se ce la fai ad andare avanti o meno. Non potevo giocare, mi allenavo con le giovanili, mi dicevano che i documenti sarebbero arrivati, ma niente. Tutto questo mi consumava perché è passato tanto tempo. Poi alla fine ce l’ho fatta. Il mio desiderio di diventare un calciatore era troppo forte, non mi importava più di nulla, ero concentrato sull’obiettivo.” Questa determinazione fa sorgere la domanda: quanti altri atleti hanno superato ostacoli simili per inseguire i loro sogni?

Sull’infanzia e i valori familiari, le sue storie aggiungono un tocco personale: “Noi eravamo una famiglia molto unita. Mia madre lavorava a scuola, faceva il doppio turno come la maestra elementare. Si alzava alle sette del mattino e stava lì fino a mezzaniorno, poi magari mangiava a casa e tornava a lavorare fino alle sei di sera. Era così tutti i giorni, questo perché anche noi avessimo qualcosa da mangiare. Poi i miei fratelli erano già grandi, quindi anche loro cucinavano qualcosa. Io andavo a scuola la mattina e tornavo all’una, dopo mangiato andavo ad allenarmi alle tre del pomeriggio. Fino alle cinque giocavo a calcio a undici nel Murialdo, poi alle sei mezza andavo a giocare a calcetto nella selezione del Mendoza. Arrivavo a casa a mezzanotte o anche più tardi. Il quartiere in cui vivevo poi non era così bello, ho passato molto tempo per strada e avrei potuto seguire le cattive compagnie che giravano. Mia madre è tutto, mi ha aiutato tantissimo, la porto sempre con me. Mi sostiene, mi dà tanta energia, si prende cura di me. Mi ha insegnato anche a fare attenzione all’energia negativa. Siamo molto superstizioni, percepisco le sensazioni negative delle persone, così come la mia ragazza. Sono molto attento a queste cose. Anche mi nonna è stata importante, mi ha reso tutto ciò che sono oggi. Tutta la mia famiglia mi ha insegnato i valori giusti, così come il calcio e gli allenatori che ho avuto da quando sono piccolo.” È affascinante pensare a come questi legami abbiano forgiato il calciatore di oggi.

Dalla MLS al Girona, le avventure continuano a incuriosire: “I primi mesi a New York sono stati difficili, soprattutto per la questione della lingua. Lì fortunatamente le persone rendono tutto più semplice, il club mi ha aiutato tanto. Il mio agente, che parla inglese, mi ha organizzato tutto. Io ero giovane, era un’esperienza unica, in un campionato che stava crescendo, con i migliori stadi, il campo perfetto e molto altro. È un sogno per qualsiasi ragazzo di 18 anni. La MLS ti dà davvero tutto, ti comprano anche i mobili. Maxi Moralez, che è argentino, mi ha aiutato a integrarmi bene. Lui e la sua famiglia mi hanno preso sotto la loro ala, sono stati importanti sia in città che a muovermi nel club. Così subito mi sono sentito molto a mio agio. Il mio primo gol? Ero arrivato il mercoledì per allenarmi e giocavamo il sabato. Pensavo che sarei andato in panchina, poi invece ho giocato da titolare su scelta dell’allenatore. Con uno dei primi palloni che ho toccato, ho segnato. E me l’hanno anche regalato. Poi quando siamo diventati campioni della MLS, mi hanno dato un anello con tutti i diamanti, come nel basket. Alla fine della stagione regolare ho ricevuto anche la Scarpa d’Oro della MLS, avevo segnato contro il Philadelphia Union. Quando in settimana sono arrivato al centro sportivo per allenarmi, c’è stata una riunione nello spogliatoio e hanno fatto vedere un video. C’era tutta la mai famiglia che mi faceva i complimenti, io mi sono commosso. L’unica che mancava era mia madre, e infatti mi sembrava strano. Poi si è aperta la porta e c’era proprio lei che mi ha dato la Scarpa d’Oro. È stata una grande emozione, anche il mio allenatore si era messo a piangere.”E sul trionfo al Girona: “I quattro gol al Real Madrid? Ho il pallone di quel giorno, erano 75 anni che qualcuno non ci riusciva. È stata una notte magica, qualcosa di importantissimo, che non hanno in molti.”

Tra hobby, allenamenti e la sua collezione di maglie, Castellanos mostra lati inaspettati: “A casa ho una sala giochi, la uso quando vengono i miei amici o la mia famiglia. Ho anche la PlayStation, ci gioco per staccare un po’, un’oretta al giorno. Mi piace giocare a Call of Duty e nient’altro. Nemmeno a FIFA, lì sono terribile. E poi quando sto qui voglio allontanarmi un po’ dal calcio. Sono anche un grande appassionato di scacchi, da quattro-cinque anni ho iniziato ad apprezzarlo molto. Gioco anche online, mi piace competere. Non sono un fenomeno, ma mi diverto. Il tatuaggio della ali? Non è un riferimento alla Lazio, l’ho fatto prima. Mi piacevano e volevo tatuarmele. Il vino? In famiglia siamo grandi appassionati, ne abbiamo tantissimi in cantina. È un nostro hobby, li uso per fare i regali con il mio cognome sopra. Non sono ancora in commercio, adesso siamo un po’ fermi ma abbiamo tante bottiglie. È un processo lungo. Ma chissà in futuro, non si sa mai. Può nascere qualcosa di nostro, con i miei fratelli.” E sui suoi rituali: “A Roma ho anche la mia palestra personale: da quando sono arrivato in Europa, dal Girona in Spagna, faccio del lavoro extra e mi segue un nutrizionista. A New York non lo avevo perché mangiaviamodirettamente al centro sportivo. Io ora gli mando il programma della settimana e di tutte le partite, a seconda di quello mi dicono cosa devo mangiare. Ovviamente non sono troppo ossessionato, ogni tanto mi concedo anche qualche strappo alla regola. Poi lavoro anche con un psicologo analista, prima delle partite mi informo su tutto: dai difensori che devo affrontare alle loro caratteristiche e tanto altro. Faccio pure diversi esercizi di respirazione che mi servono in partita e in allenamento, è una cosa che bisogna portare avanti con costanza nella vita, respirare con il diaframma. Mi aiuta tanto per respirare il più possibile con il naso e meno con la bocca, migliora anche il sonno durante la notte. Cerco di essere il più professionale possibile, di godermi al meglio la mia carriera che è breve. Provo a sfruttarla al massimo, a investire su tutto ciò che mi può servire. Ho una stanza dove la mattina vado a fare stretching e meditazione. Mi ha insegnato tutto il mio mental coach, mi piace riposare un po’ la testa e lasciare da parte il telefono, così mi rilasso.”

Infine, sui suoi idoli e ambizioni, non può mancare: “I miei idoli? Mi piaceva tanto Luis Suarez, è uno dei miei riferimenti. Adoro la sua cattiveria in campo, la sua ‘garra’. È un giocatore fortissimo. Adesso mi piace tanto Lautaro Martinez, che è un mio grande amico. Mi manca la sua maglietta nella collezione, ogni volta che giochiamo contro c’è sempre un problema che non ci fa incontrare (ride, ndr.). Aspetto anche di avere la maglia di Messi.” E sul sogno del Mondiale: “Il Mondiale? Spero sempre di giocare in Nazionale, anche se è molto difficile per i giocatori forti che ci sono. Mi piacerebbe tanto esserci al Mondiale, devo lavorare tanto alla Lazio per raggiungerlo. Ci penso sempre. Se avrò la possibilità, dovrò essere pronto. Per giocare al Mondiale devi essere pronto e a un livello alto. Io gioco in Europa solo per andare in Nazionale, non sono mai voluto andare a giocare nel campionato sudamericano o arabo perché il mio obiettivo è quello. Io vivo pensando alla maglia dell’Argentina, sempre. Quando vedo che non sono nella lista dei convocati, ci sto male. Poi dal giorno dopo cerco di riprendermi e di lavorare ancora più forte. Sono concentrato ad andare in Nazionale, anche se è sempre molto difficile. Andare al Mondiale con l’Argentina sarebbe un sogno per me e per tutta la mia famiglia. Devo giocare bene alla Lazio e stare bene, Scaloni ha dato a tanti giocatori nuovi la possibilità di stare nel gruppo. Io continuo a lavorare, a farmi trovare preparato e poi vediamo. La finale del Mondiale 2022 l’ho vista in hotel con Gazzaniga, quando stavo al Girona, perché era il periodo della preparazione per ricominciare il campionato. Abbiamo distrutto tutto a fine partita. Poi con mio fratello siamo andati a Girona in un bar argentino a festeggiare. C’erano 25-30mila persone in città. Mi sono emozionato per la vittoria, soprattutto per Messi che se lo meritava. È il migliore di tutti.” Queste rivelazioni lasciano i lettori con l’intrigante domanda: riuscirà Castellanos a realizzare questo ambizioso sogno? Il suo cammino è un mix di talento e tenacia, che continua a ispirare.

Articolo pubblicato da Redazione Laziochannel il giorno 6 Ottobre 2025 23:38

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