Una lavagna piena di segni che sembrano quasi scarabocchi, ma sono tutt’altro. Sembra difficile localizzare la crisi attuale della Lazio in una mattinata trascorsa a Coverciano di fronte ad un maestro di calcio, ma se il football europeo nella scorsa stagione aveva proposto qualcosa di interessante, questo poteva essere localizzato tra Marsiglia e Roma. “Bielsismo” e “Piolismo“, due facce di una medaglia apparentemente diversa, ma che trova mille analogie in parole chiave come applicazione, pressing, proattività, intercambiabilità dei ruoli. E se all’inizio della primavera sia in Francia che in Italia le sponde biancocelesti del calcio che conta sognavano trofei e Champions League, un motivo c’era. Neanche sei mesi dopo, i sogni sembrano infranti. Scopriamo perché.
BIELSISMO – Il Terrence Malick degli allenatori non rilascia interviste da vent’anni, concedendosi ai giornalisti solo nelle conferenze e negli appuntamenti come quello di Coverciano, in cui, come un maestro ai suoi diligenti scolari (una marea di illustri colleghi allenatori) ha riportato all’attenzione generale i principi cardine del suo calcio.Potrebbe interessarti
PIOLISMO – A seguire quella conferenza a Coverciano, si riesce a capire anche come il “Piolismo” abbia fatto breccia lo scorso anno nel panorama tatticamente piatto del calcio italiano. L’allenatore della Lazio aveva avuto bisogno di un certo rodaggio per riuscire a far quadrare i conti di una squadra che doveva innanzitutto cambiare mentalità. Reja chiedeva a Ledesma di tenere palla, a Mauri e Klose di giocare sornioni tra le linee, ai centrali di restare bassi in marcatura. I principi del “Bielsismo” sopra riportati sono esplosi nella primavera delle otto vittorie consecutive dello scorso anno. Serviva un centrale bravo nell’anticipare le intenzioni, prima ancora che gli scatti degli attaccanti avversari, come De Vrij. Un palleggiatore di centrocampo come Biglia, e due fulmini capaci di concentrare sulle vie esterne il gioco d’attacco, come Candreva e il redivivo Felipe Anderson, trasformatosi da brocco a FA7, alla stregua di Palloni d’Oro e assi mondiali, nel giro di un inverno. Non per niente, alla fine Pioli ha virato dal 4-2-3-1 al 4-3-3 perché pensava di aver finalmente preparato la squadra a coprire il campo nel modo in cui i santoni del calcio moderno più amano. Il declino della Lazio, per tempistica e modalità, ha ripercorso quello del Marsiglia. A un passo dal paradiso, la squadra ha perso quella ferocia e quell’applicazione nel seguire la strada maestra tracciata da chi in panchina voleva guidarla ad una visione nuova, quasi futuristica. E nel dedalo dei 28 moduli Pioli si è perso, cambiando troppo in particolare nelle ultime, disastrose trasferte. La differenza, per ora, sta nell’epilogo. Bielsa, nel suo stile, ha preferito farsi da parte, piuttosto che mettersi in discussione. Pioli ha deciso di rischiare ancora, e nelle tre notti del ritiro prima della partita contro il Genoa, il maestro proverà, forse per l’ultima volta, a radunare i discepoli alla sua tavola. Per tentare l’ultimo, disperato rilancio al tavolo da gioco, feroce e più che mai spietato per la Lazio in questa stagione, della Serie A.
Fabio Belli


