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TEMPI BELLI – Gufi & fenomenologia dei social network

Circa nove mesi fa, all’inizio dell’anno, avevamo pubblicato questo articolo che aveva fatto abbastanza discutere, riguardo la cascata di reazioni che mezzi come i social network possono permettere ai tifosi di produrre per commentare una partita di calcio. Con la punta di autoironia che ci contraddistingue, guardavamo al giardino di casa nostra prendendo un po’ bonariamente in giro dei tipi di laziali che facilmente vengono allo scoperto grazie a questi moderni mezzi di comunicazione.

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Ogni tanto però, rivolgiamo la nostra attenzione anche ai dirimpettai, che non sono da meno e rispondono a loro volta in tipologie preferite, che si palesano soprattutto quando la Lazio attraversa momenti più o meno positivi.

Scopriamo la fenomenologia dei social network dei romanisti che commentano la Lazio.

  1. L’indifferente. Per lui la Lazio non esiste. A parole, ovviamente. Ostenta sempre indifferenza e cade dalle nuvole su qualsiasi riferimento a partite biancocelesti. Ciò non toglie che riesca comunque a scatenare dubbi tra i suoi interlocutori, tipo con frasi: “Ma che me frega della Lazio, siete voi che pensate sempre a noi! Quando Parolo aveva innescato Lulic che con un perfetto cambio di gioco ha favorito Keita per l’inserimento di Immobile che dopo aver fintato ha battuto Karnezis sul secondo palo, io ero già alla terza birra al Pigneto! Chi ve se fila!”. Nei suoi racconti l’ultima partita vista della Lazio è stata quella del 1975 con il Como perché ce lo portò il nonno quando aveva tre anni, ma è in grado di correggerti sul minutaggio di Keita al Cornellà prima che arrivasse in Primavera e sa perfettamente il numero di lingue parlate da Tare.
  2. Il tecnico. Ama tendere trappole: i suoi riferimenti non sono mai diretti alla Lazio. Ma tweet e status su Facebook che appaiono sistematicamente dopo una Udinese-Lazio 0-3, recitano: “Mai vista una serie A scarsa come quest’anno.” “Ormai preferisco il campionato romeno a quello italiano.” “La Serie A è ridicola, livello fra tornei di dopolavoro.” L’orrore per la pochezza del calcio nel nostro paese solitamente svanisce in caso di vittoria della Roma con partite che tornano ad essere: “Le più belle viste negli ultimi 20 anni.”
  3. Il rancoroso. Solitamente la butta in caciara facendoti sentire in colpa per cose avvenute circa 100 anni fa. Per controbattere all’esultanza per una vittoria della Lazio parte rievocando autogol di Negro e scudetti scuciti, ma passando per i sempiterni 11 anni di B può anche riesumare il derby del 1929 vinto con gol di Volk ed arrivare fino alla progenie di Romolo e Remo. A chiunque parli di 26 maggio, risponde stizzito “Preistoria!” indignandosi sul fatto che qualcuno tiri fuori eventi risalenti al paleolitico di tre anni fa.
  4. Gli attimi fuggenti. Per loro c’è solo il Capitano, o mio Capitano. Qualunque impresa della Lazio finisce con una discussione su Totti e sul fatto che la Lazio non abbia mai avuto una band, in barba a venticinque giocatori oltre le 250 presenze. E comunque er capitano Totti Totti Roma capitano daaa Roma Totti Totti Totti capitano daa Roma. Solitamente con questa frase chiudono il discorso.
  5. Il nostalgico: è particolarmente infido. Lui stesso ti blandisce con una mezza frase sulla buona prestazione per la Lazio, rievocando però i tempi quando le squadre erano davvero grandi e il calcio italiano era ai massimi splendori. Fosse un Negroni, avrebbe 1/4 di tecnico. Si distingue da esso perché la sua conversazione è totalmente permeata non dalla riflessione sul declino del calcio italiano, ma dalla nostalgia per il calcio romantico che fu. Dopo un breve accenno alla Lazio Cragnottiana, però, getta la maschera e sferra la sua offensiva. Ti ritrovi in pochi minuti a parlare di magliette Barilla, Falcao e di Sorrento-Lazio col treno che passava che respinse il pallone, come raccontò una volta Guido De Angelis. L’unico modo per neutralizzarlo spesso è bloccarlo.
  6. Il Marco Travaglio (o giustizialista). E’ una belva scatenata che per innescarsi ha bisogno di pochissimo, basta un assist di Felipe Anderson. Da lì parte un’invettiva che abbraccia il caso-Mauri fino al calcioscommesse, Calciopoli, il crack Cirio e termina con un gran finale dedicato a quel traditore di Ciccio Cordova. Solitamente la sua furia è intensa ma breve, si ingrippa singhiozzando parlando di Juventus, Turone, Doping e Agricola. Rumoroso ma innocuo.
  7. Il giustiziere etnico. Per lui la romanità non è questione di tifo, ma di DNA. Qualunque rivendicazione laziale lo vede spandere litri di bile sul fatto che loro sono gli unici destinatati del patrimonio della città eterna, e tra burini, campagnoli e frasi protorazziste attribuite di solito invariabilmente ad Alberto Sordi, sembrano pronti a imprimere il marchio della vergogna su chiunque sia nato fuori tra le mura Aureliane. Solitamente il laziale contro cui inveiscono è nato all’Isola Tiberina e loro invece sono nativi di Ceccano, madre abruzzese e padre pugliese con zio svedese e nonni turchi con prozia di Sgurgola Marsicana. Mettendo sul tavolo le carte d’identità della famiglia si può idealmente percorrere, unendo la distanza tra le varie località, la strada che separa la terra da Venere. Ma il fatto di abitare a Ponte di Nona dal almeno sei anni sembra mondarli, nella loro testa, da determinati ragionamenti.

Fabio Belli

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