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Il segreto della Lazio? Un gruppo di fedelissimi

Europa League ormai a un passo, domenica potrebbe divenire ufficiale battendo la Sampdoria. Dopo quattro anni si è tornati a vincere il derby. La finale di Coppa Italia conquistata e, quasi certamente, anche quella di Supercoppa. La stagione della Lazio è stata tutta una sorpresa positiva e ancora può dare grandi soddisfazioni. Ma il risultato più importante già ottenuto è un altro e non riguarda il campo. E’ quello della ritrovata lazialità di squadra, società e ambiente tutto. Un ambiente che dopo anni di divisioni è tornato unito. Alcune ferite sono ancora aperte ma nel frattempo lo spirito è cambiato. E lo si è visto negli ultimi derby.

LA MILITANZA DEL TECNICO IN BIANCOCELESTE

Tra le tante imprese di Simone Inzaghi c’è anche questa. Tutto reso possibile dal fatto che in questa Lazio è proprio il tecnico ad avere la più antica militanza. Ben diciotto anni. Prima come giocatore, poi da allenatore delle giovanili e ora alla guida della prima squadra. Con due sole piccole parentesi quando giocava (prima alla Samp, poi all’Atalanta). Senza però mai tagliare il cordone ombelicale con i biancocelesti. Anello di congiunzione (con Angelo Peruzzi) tra la Lazio stratosferica di Cragnotti e questa di Lotito che, pur più umana, siede al tavolo delle grandi del nostro calcio. Grazie anche alla ritrovata unità dell’ambiente.

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I FEDELISSIMI IN SOCIETA’

Come riporta La Gazzetta dello Sport clima diverso anche in società. L’inserimento di Angelo Peruzzi come club manager e l’arrivo di Arturo Diaconale hanno portato aria nuova nella compagine societaria. A beneficiarne è stato il ds Tare, il cui ottimo lavoro è sotto gli occhi di tutti. Se la rosa della Lazio vale il triplo rispetto a dodici mesi fa il merito è si di Inzaghi, ma anche di chi ha costruito quell’organico. Il legame del ds con la Lazio inizia ad essere duraturo. Dodici anni di Lazio: tre da giocatore, nove da dirigente. Dopo Inzaghi è lui quello con la più antica militanza biancoceleste. Certo, in quanto a fedeltà, lo storico team manager Maurizio Manzini batte tutti, però lui è di un’altra categoria. Poi c’è anche il presidente Lotito (tredici anni). Certi dettagli fanno la differenza. E uno di questi è proprio l’aver difeso in campo i colori della società di cui ora sono dirigenti o allenatori. Come successo a Inzaghi, Peruzzi e Tare.

I FEDELISSIMI IN CAMPO

Passando al campo oggi simboli della lazialità sono Stefan Radu e Senad Lulic. Il romeno veste la maglia biancoceleste da quasi dieci anni. Il suo attaccamento ai colori sociali lo manifesta in campo e fuori perché la Lazio gli è entrata dentro. Lo si è visto domenica per come ha esultato alla fine del derby anche se non lo ha giocato. Se non ci fosse Biglia sarebbe lui il capitano, ma Radu è come se lo fosse. Come lui anche Senad Lulic, maggior simbolo di lazialità grazie al gol che lo ha reso un’icona, quello che decise la Coppa Italia con la Roma nel 2013.

IL PESO DEI FEDELISSIMI

La loro voce pesa tantissimo nello spogliatoio, specie con i più giovani. Come Strakosha che ieri è tornato sul derby: «Tanta soddisfazione, era da anni che non vincevamo in campionato e si vedeva che avevamo più voglia della Roma». Il portierino albanese è una delle rivelazioni della stagione. A farlo crescere sta pensando il preparatore dei portieri Adalberto Grigioni, altro fedelissimo alla Lazio dal 2005: «Thomas ha fatto grandi cose nel derby, è stato davvero decisivo».

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