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Sono le cinque del pomeriggio quando finalmente trovi parcheggio e a piedi puoi arrivare al tuo settore, al tuo posto nello schieramento dell’Olimpico che a quest’ora infausta ospita la tua Lazio contro il Milan che ha metà squadra fuori tra infortuni e squalifiche e gioca praticamente con il magazziniere in difesa. Saluti i tuoi compagni di reparto che come al solito si lamentano che sei sempre l’ultimo ad arrivare: c’è Massi, sedici anni di amicizia che ormai è una relazione di fattom, tra una partita e una presa in giro; c’è Sandro con cui ti lamenti perché finita la partia dovrai correre a lavoro per l’ennesima nottata insonne. Riccardo abbraccia la madre Rita, mentre si domanda in quale immondo modo tu abbia parcheggiato stavolta. Tu ridi pensando al fatto che si è preso un giorno di ferie perché lavora a Torino, ma “Lazio-Milan non si poteva perdere assolutamente.” In effetti hai parcheggiato la macchina talmente male che meriteresti la galera oltre al ritiro della patente, ma tu dovevi correre a salutare Nando con il suo tono di voce insostenibile, Daniela e Francesco che si sono innamorati su quei sedili e che ora portano pure la mascotte del gruppo. E poi ancora Daniele con suo padre, Nerone, che subito spara una delle sue perle acuminate che spezzano la tensione onnipresente, perché il Milan sarà anche ai minimi termini, ma tu tifi Lazio e sei perfettamente consapevole che la compagine ideale per concedere punti in queste situazioni è proprio la tua. Attorno a te, altre decine di volti familiari senza nome ti fanno sentire a casa come forse nemmeno tua madre, che comunque è dal lato opposto dello stadio con il resto della famiglia. A un certo punto non meglio precisato dell’ora che manca al fischio d’inizio la Lazio entra a fare riscaldamento e tu sei tutto cori e urla, mentre i tuoi eroi si preparano a sfidare il Diavolo e prenderlo a calci. D’altronde non potrà che essere così, la gloria è a un passo e va afferrata anche se intorno a te i soliti rompiscatole borbottano che gli scarsoni che ci ritroviamo troveranno il modo di fallire. Ma tu e gli altri avete occhi soltanto per la Lazio, per Milinkovic e Luis Alberto che prima o poi dovranno smettere di fare così schifo, per il vostro Re Ciro che oggi segnerà sicuramente; certo, difesa e centrocampo hanno qualche problema, ma oggi ci riusciranno, sicuramente: la vittoria arriverà, alla faccia dello spicchio rossonero che è lì a rappresentare il temuto avversario. Prima della partita il tuo simbolo vola alto, l’aquila dell’Impero Romano, memoria eterna dei più grandi amori che tu abbia mai avuto; il volo di Olympia è impeccabile, tutti cantano l’inno e l’emozione vibrante vi commuove tutti. Ma ora c’è una partita da giocare, da vincere.

La Lazio attacca, in continuazione. Sembra che gli altri siano lì soltanto per fare un fortino davanti alla maledetta porta. Azioni su azioni, tiri in porta, cross sbilenchi, passaggi imprecisi, nervosismo. Il Milan fa un tiro in porta in tutto il primo tempo, colpisce il palo e tu hai appena tolto cinque anni al tempo che ti rimane in questa vita, vita che comunque intendi dedicare sempre al tifo e alla Lazio quindi stai soltanto facendo il tuo lavoro. Sei fiducioso, gli amici lo sono con te, ma i soliti guastafeste di ogni volta iniziano la litania che tanto odi. “Se non vinci contro questo Milan sei un cretino” dice uno “Basta che non è la Spal e smetti di vincere” rimbecca un altro, mentre il peggiore di tutti esclama “Ma dove andiamo ridotti così? L’allenatore è un idiota!”

Quando sbatteranno la palla in porta questi eretici si ricrederanno, voi lo sapete già. Soltanto che il secondo tempo non cambia il canovaccio della partita: il portiere del Milan ne para due, la Lazio attacca ma non vuole saperne di segnare. Qualcuno perde la speranza ma non tu, tu sai che i ragazzi ce la faranno. Il Mister fa due cambi; fuori Milinkovic e Luis Alberto, che hanno giocato male anche stavolta, dentro il Tucu Correa che sta giocando molto bene, ma perché Lukaku? Qualcuno mugugna, ma tu hai fiducia di chi è alla Lazio da vent’anni: avrà i suoi buoni motivi. Capovolgimento di fronte, Milan in contropiede. Kessiè prende in pieno Wallace e la palla finisce in porta. Perdiamo uno a zero senza aver mai subito la spinta del Milan.

Intorno a te tutti perdono pazienza e speranza. Sandro sbuffa e dice che nella vita non si può sempre campare così. Qualcuno urla contro la società, contro l’allenatore e contro i giocatori scarsi. Lo sconforto inizia a montare anche dentro di te e il pensiero finisce a un lavoro che ti serve ma non ti piace, alle velleità artistiche che non ti sfameranno mai, all’amore che non arriverà più. Questa partita, in fin dei conti, è l’emblema della tua vita a vederla bene: tutte le occasioni sbagliate sono le speranze disattese, gli errori fatti, le possibilità buttate al cesso. Guardi Massi, lo sproni e gli dici che ce la farete visto che ora è entrato Caicedo e il Panterone è uno dei vostri beniamini. Deve crederci anche lui, altrimenti non ci credi nemmeno tu. Attacca la Lazio, disperatamente, ma sono i minuti di recupero. Lancio lungo dalla difesa, un difensore del Milan sporca, il Tucu Correa fa un controllo difficile e gira la palla col destro. E’ il minuto novantaquattro e l’ha infilata nella maledetta porta: pareggio. Lo stadio esplode e tu urli fino a sentirti male o quasi, ma la mente adesso è sgombra e non conta nient’altro. Chi può pensare al lavoro o all’amore quando il Tucu Correa l’ha sbattuta dentro all’ultimo minuto di una partita disperata?

Quando la partita finisce, in mezzo all’amarezza generale tu porti in giro un sorriso da ebete fin quando vieni interpellato; a quel punto spieghi il motivo che ti porta ad averlo stampato in faccia. Sono queste, dici, le tue partite preferite. Quelle partite che ti ricordano perché ami incondizionatamente quei colori e quel simbolo, perché tra Salas, Veron e Nesta il tuo favorito nella Lazio dell Scudetto era Fernando Couto che non giocava nemmeno titolare. La Lazio non la trovi nelle larghe vittorie, nella grandezza oggettiva, nelle facili vicende della vita: la Lazio è una vita difficile, insidiosa, spesso deludente, in cui però trovi sempre il modo per risollevarti e guardare il mondo a testa alta, con la grinta e la strafottenza di un ragazzo argentino che entra dalla pachina. Tu per la Lazio vuoi soffrire fino all’ultimo brivido e così sia per sempre. E se ora mi stringi in una mano e stai scrivendo un’ode alla tua Lazio con due ore di sonno e la tua ragazza che dorme beata sul letto, se scrivi di una partita in cui Riccardo e Sandro non c’erano, ma li volevi lì con te a dannarsi per quell’amore allora quelle velleità artistiche sarebbe il caso di farle fruttare.

Fidati di una penna.

Costantino Pompa

Articolo pubblicato da Redazione Laziochannel il giorno 26 Febbraio 2019 14:15
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