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LA NOSTRA STORIA Antonio Sbardella

Antonio Sbardella nacque a Palestrina, in prov. di Roma, il 17 ottobre 1925. Deceduto a Roma a seguito di una lunga malattia incurabile nell’ospedale Fatebenefratelli sull’isola Tiberina il 14 gennaio 2002.

Antonio Sbardella iniziò la carriera come portiere nelle giovanili della Lazio e la concluse in Serie C nell’Artiglio, squadra romana del quartiere Italia. Concluse la carriera a causa della doppia frattura di clavicola e omero, che definì come “un fortunato colpo di sfortuna” intraprendendo la più fortunata carriera arbitrale. In carriera ha arbitrato 167 gare in Serie A. Nel 1966 venne insignito con il prestigioso Premio Giovanni Mauro. Raggiunse l’apice della carriera ai Mondiali di Messico ’70 dirigendo la finale per il terzo e quarto posto tra Uruguay e Germania. Sarebbe toccato a lui dirigere la finalissima ma non fu possibile perché ci arrivò l’Italia. Venne però premiato con il “Fischietto d’oro” come miglior arbitro del torneo. Vanta anche due finali di Coppa Italia e la finale di Coppa delle Fiere del 1967.

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Terminato di arbitrare intraprese la carriera dirigenziale, prima con la Lazio (con cui ha vinto uno scudetto nel ruolo di direttore sportivo) fino al 1974, poi con Roma, Triestina, come amministratore delegato, ed ancora Lazio (fino al 1983 come direttore generale), poi con la FIGC fondando e guidando la Divisione Calcio a 5 di cui era rimasto presidente. Inoltre da dieci anni era Presidente del Comitato Regionale Lazio della Lega Nazionale Dilettanti.

LA LAZIO

Chiamato alla Lazio da Umberto Lenzini nel 1971 per ricostruire la squadra dopo la retrocessione è lui a contattare Tommaso Maestrelli e a portarlo a Roma. Riporta ordine in società e in squadra. Usa il pugno di ferro con Giorgio Chinaglia quando chiese di essere ceduto e lo deferì alla disciplinare facendolo tornare nei ranghi. Si scontra spesso con Umberto Lenzini accusandolo di “buonismo”. A Terni nel 1971 quando la squadra si rifiutò di partire per il ritiro perché non erano stati pagati i premi per la qualificazione in Coppa Italia avrebbe voluto deferire tutti, mentre il presidente invece arrivò a un compromesso. In questi anni le maggiori soddisfazioni come dirigente di club. Riuscì a costruire una Lazio irripetibile con tanti talenti irrequieti fino ad allora sconosciuti. Lasciò la società biancoceleste prima dello Scudetto del 1974 per via del fallimento della cordata capeggiata dal consigliere Riccardo Riva che avrebbe dovuto rilevare la società.

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