Oggi, 24 agosto, cade l’anniversario del secondo anno dalla scomparsa del grande Aldo Donati. Voce di uno degli inni più amati dai laziali, un artista a trecentosessanta gradi che con la sua bonarietà e simpatia, abbinata ad un talento musicale senza pari, è rimasto nei cuori del popolo biancoceleste come nessun altro. Sugli 88.100 di Elleradio la moglie Velia Donati è intervenuta nella trasmissione “Laziali on Air” per ricordarlo.
“In un giorno estremamente triste come quello, il cuore dei laziali si è sentito fortissimo. Purtroppo Aldo l’ho perso due volte, dal momento in cui è iniziata la sua malattia fino a quando ci ha lasciato definitivamente. Vedere il popolo laziale tutto raccolto per lui è stato emozionante, così come rendersi conto in un giorno come questo che i tifosi biancocelesti hanno sempre un pensiero per Aldo. Aveva un talento musicale e canoro che gli era letteralmente caduto dal cielo, dalla capacità di scrivere canzoni meravigliose fino alla sua voce straordinariamente espressiva. E’ bellissimo vedere come questa emozione che lui riusciva a trasmettere arrivasse ad una quantità di persone così vasta”.
Anche i più giovani tifosi biancocelesti sanno perfettamente chi era Aldo Donati: “Lui ha dato vita all’esperienza della Schola Cantorum a cavallo degli anni del primo Scudetto della Lazio. La canzone “Lella” lo ha svelato al grande pubblico, ma ha avuto anche tanti successi da solista ed è stato particolarmente orgoglioso dell’esperienza della messa in scena di Rugantino, con le musiche del grande Armando Trovajoli”.
Qual è il momento più bello da laziali vissuto insieme da Velia ed Aldo? “Sicuramente lo Scudetto del 2000. Un anno vissuto col batticuore. Io non potevo essere allo stadio, Aldo invece si stava preparando per andare e gli dissi: “Dai Aldo, oggi vinciamo lo Scudetto”. Era una sensazione partita dalla rimonta dei nove punti di svantaggio dalla Juventus e da tutte le vicende vissute durante quel campionato. E poi si è rivelata azzeccata e abbiamo vissuto il momento più bello della nostra vita da laziali”.
Aldo aveva sempre il sorriso sulle labbra ed era pronto a sdrammatizzare: “Il Dalai Lama diceva che non bisogna mai perdere la speranza. Oggi a due anni di distanza dal grande dolore della scomparsa di Aldo sto trascorrendo qualche giorno di vacanza in Calabria e vivo il contrasto tra la spensieratezza dei giorni d’estate e l’enorme mancanza di Aldo, che si fa sentire come non mai. Un contrasto acuito dai tragici eventi del terremoto di stanotte. Lo spirito scanzonato di Aldo è una trasmissione di immortalità, quello che ha lasciato non si spegnerà mai”.

Attore, comico e drammaturgo tra i più amati del Novecento con la recitazione nel sangue. Figlio del celebre drammaturgo Eduardo Scarpetta, dal quale non venne riconosciuto, come i due fratelli Eduardo e Titina. Iniziò a calcare i palcoscenici di tutta Italia con loro, portando in scena diverse commedie scritte da lui. Dopo la dolorosa separazione del 1944 dovuta a dei dissapori con Eduardo, che li divise per sempre, cominciò la carriera di capocomico a teatro e come attore di spicco al cinema e in televisione.
Sul grande schermo con Totò formò la più celebre coppia comica della storia italiana, che ancora oggi continua a far sorridere con film come “Totò, Peppino e… la malafemmina” e “La banda degli onesti”. In tv creò il personaggio di Pappagone, umile servitore che si esprimeva in un gergo bizzarro e dagli effetti esilaranti. Peppino morì a Roma il 27 gennaio 1980, lasciando la sua eredità artistica al figlio Luigi che ne seguì le orme.
Accumoli, in provincia di Rieti nel Lazio, a pochi chilometri da Norcia e Amatrice. Proprio ad Amatrice si registrano i danni più gravi. Il sindaco Sergio Perozzi è intervenuto prima a Radio Rai e poi al telefono con Sky: “Il paese non c’è più. C’è gente sotto le macerie, temo morti”. La grave situazione è stata confermata dal responsabile della Croce Rossa locale che parla di almeno un ponte crollato e di una importante fuga di gas. La scossa fortissima è stata sentita anche a Roma. Molte le chiamate alla protezione civile e ai vigili del fuoco da tutto il centro Italia. In seguito nell’area si sono verificati altri movimenti sismici, con scosse di magnitudo 5,1 alle 4.32 e 5.4 alle 04.33 a 5 chilometri da Norcia.
Accertata una vittima ad Accumoli dove, inoltre, ci sono quattro persone (si
tratta di una famiglia con due bambini piccoli) sotto le macerie. Confermata anche la morte di una coppia di anziani coniugi a Pescara del Tronto, dove sono ancora in corso le ricerche di due bimbe bloccate sotto le macerie. Ad Accumoli, Amatrice e Posta, nel reatino, e ad Arquata del Tronto e a Pescara del Tronto, in provincia di Ascoli Piceno, si registrano i danni più gravi. Numerosi gli edifici crollati: la chiesa di Amatrice distrutta, l’ospedale inagibile. Crollato il campanile di Castelluccio di Norcia. Ad Amandola l’ospedale è stato danneggiato ed evacuato. I viglili del fuoco parlano di danni anche a Gualdo e Mogliano nel Maceratese. Attivi i numeri della Protezione Civile: 840840 e 803555. Una frana è avvenuta sulla parete Est del Corno Piccolo del Gran Sasso a 2433 metri.
Un’altra fortissima scossa di entità 5,4 si è sentita alle 4.34. Il capo della Protezione Civile Fabrizio Curcio parla di diversi feriti, crolli e danni ad edifici. Squadre di vigili del fuoco stanno arrivando sul posto da Lazio, Abruzzo, Toscana e Marche. Il sisma è stato avvertito in tutto il centro Italia, anche a Roma molti palazzi hanno tremato per due volte e per circa 20 secondi. La notizia si è diffusa rapidamente sui social. Le scosse sarebbero state in tutto diciotto in un’ora e mezza. L’ultima, di magnitudo 4,8. Cresce di ora in ora il numero degli sfollati.
Nel 1923 viene pubblicato il suo primo libro di poesie, “Fervor de Buenos Aires”, seguito due anni dopo da “Luna de Enfrente”. Nel 1925 Borges incontra Victoria Ocampo, la musa che riuscirà a portare all’altare quaranta anni dopo. Tra i due si stabilisce un’intesa intellettuale destinata a entrare nel mito della letteratura argentina. Nel 1929 escono i versi di “Cuaderno San Martìn” e, un anno dopo l’“Evaristo Carriego”. Una spada di Damocle incombe però sullo scrittore argentino: la cecità. Borges non ha mai goduto di una buona vista, ha subito ben nove operazioni per tentare di curare la grave disabilità ma alla fine degli anni ’50 diventa totalmente cieco.
Ma la malattia viene da lui utilizzata in senso creativo, la sua potenza visionaria riesce a sfruttare il terribile male, volgendolo in metafora e in materia letteraria. Il culmine di questa “sublimazione” si ha fra il 1933 e il 1934, quando Borges dà vita a trame che utilizzano la storia come falso, menzogna, parodia universale e plagio. I suoi racconti vengono pubblicati sulla rivista “Crìtica”: è la genesi della “Historia universal de la infamia” e della “Historia de la eternidad”. Nel 1938 muore il padre e inoltre lo scrittore resta vittima di un incidente che lo costringe per molto tempo all’immobilità dopo un attacco di setticemia che ne minaccia la vita.
Negli anni della malattia lo scrittore realizza alcuni tra i suoi capolavori, raccolti e pubblicati nel 1944 con il titolo di “Finzioni”. Cinque anni dopo escono i racconti di “Aleph”. Nel 1952 è la volta delle “Altre inquisizioni”. Nel 1955 viene nominato direttore della Biblioteca Nazionale. Con spirito borgesiano lo scrittore commenta così la nomina: “E’ una sublime ironia divina ad avermi dotato di ottocentomila libri e, al tempo stesso, delle tenebre“. E’ l’inizio di un lungo e fecondissimo tramonto che lo porta alla morte avvenuta il 14 giugno 1986. A fianco di Borges la sua seconda moglie, l’amatissima Marìa Kodama.