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ESCLUSIVA – Paolo Di Canio: “Saluto romano? Mi pento ma non rinnego”

Ospite di Marco Mazzocchi nella serie di incontri per l’evento “Sport fra etica ed epica” al Teatro Brancaccio di Roma Paolo Di Canio e l’alpinista Simone Moro.

Durante la serata si è parlato dei valori sportivi e Paolo ha ricordato le sue esperienze all’estero: “Un paese che mi è rimasto impresso è la Scozia. Sembrano un po’ bergamaschi perché hanno un accento forte. Una terra magica, un popolo forte. Fantastica esperienza. In quegli anni uscì anche Braveheart e allora sai, tutto si è amplificato. Poi a me sono sempre piaciute le minoranze…”.

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Paolo, dal punto di vista etico quale è stata la tua vittoria più importante?

“Quando giocavo al West ham, andavo forte e ricordo che per tutto il periodo natalizio mi chiamò Ferguson per andare al Manchester United: io li rifiutai deciso, non ci pensai un attimo”.

Mentre la sconfitta più brutta? 1998. Paolo di Canio allora allo Sheffield Wednesday, in un incontro proprio contro l’Arsenal, spinse a terra l’arbitro Alcock che lo aveva appena espulso. Cosa puoi dirci?

“A livello di etica forse quella spinta all’arbitro è stato un momento non bello. Però poi gli inglesi apprezzarono Quando presi il pallone con le mani fui molto apprezzato ma qualche compagno di squadra negli spogliatoi mi disse “Paolo ma che hai fatto” tra cui anche il mister Redknapp. Purtroppo però quando c’è in ballo il risultato è difficile percorrere l’etica”.

Poi si parla di derby. Inevitabile la domanda su quel tanto chiaccherato Saluto romano nel derby della Capitale. Ti penti del gesto oppure no?

“Mi pento ma non rinnego. Lì si è esagerato. Ero nel contesto dello stadio e a fine gara. Un gesto rivolto a qualche amico sugli spalti. Poi capii lo sbaglio anche grazie a Mia figlia Ludovica che qualche giorno più tardi fece un tema sul papà….durante il tema mia figlia scrisse che papa era bravo però ha fatto uno sbaglio: un segno politico che non c’entra nulla nello sport. Ecco lì, capii che qualcosa non era andato come io volevo intendere. Poi inventarono una legge ad hoc e lì mi arrabbiai, un casino e io non volevo offendere proprio nessuno. Non rinnego ma mi pento. C’è un prima e un dopo. Lo capisco… dal 1938 in poi sono gesti tutti strumentalizzabili. Per me quel gesto, quel saluto era rivolto al mio microcosmo di amicizie, la gara era finita, ho visto un gruppo di amici ed è andata così. Se non ci fosse stata la macchina fotografica, nessuno avrebbe detto e saputo niente. Mi dispiace aver fatto del male a qualcuno, perché poi si sa che certi gesti sono strumentalizzabili, ma fate come vi pare, per me quel gesto è un gesto puro che non voleva assolutamente esprimere violenza o altro…”.

Qual è stato il momento perfetto?

“Il gol al derby, in quel momento non ho sentito nulla. Quello è stato il momento perfetto. La palla che arriva, io che colpisco e la palla entra in rete. Io esulto coi i tifosi avversari davanti. Esulto però non sentivo più nulla. C’è stato un momento che io non ho sentito nulla. Quello è stato davvero il momento perfetto”. 

Davide Sperati e Sara Mariani

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