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LA NOSTRA STORIA – Zenobi, il “Presidentone” che coniò il motto “La Lazio non si discute, si ama”, poi adottato dai rivali giallorossi

Il 23 maggio del 1891 nasceva a Foligno, prov. di Perugia, il “Presidentone” biancoceleste Remo Zenobi. L’unico dirigente ad aver indossato per tre volte i panni di presidente della Lazio in tre decenni e in tre epoche calcistiche completamente diverse.

L’ARRIVO ALLA LAZIO

Dopo essere stato in gioventù un discreto podista le prime notizie che lo riguardano in ambito societario risalgono al 1923. Quando, poco più di trentenne, è un imprenditore di successo. L’occasione di entrare in società si manifesta quando la dirigenza biancoceleste decide di ricostruire lo Stadio della Rondinella, cambiando la dislocazione del campo e ingrandendo le tribune. Zenobi si offre di coprire gran parte della spesa. A patto però che i lavori vengano affidati a una società che avrebbe avuto come azionisti oltre a lui anche Bitetti, Ercoli e Saraceni.

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“LA LAZIO NON SI DISCUTE SI AMA”

Il periodo storico della società è particolare dato che una volta chiusasi la ventennale esperienza di Ballerini alla guida della Lazio, in tre anni cambiano tre presidenti. Zenobi assume la presidenza nel 1927 dopo l’intervento decisivo del Generale Vaccaro che sventa la fusione con la Roma. Viene considerato una sorta di papà per i tifosi. È lui a coniare il motto La Lazio non si discute, si ama. Motto che anni dopo viene adottato dai tifosi dell’altra sponda. Zenobi però non è un grande esperto di calcio. Nel 1930 rifiuta di ingaggiare Masetti che passa alla Roma diventando uno dei portieri più forti del calcio italiano.

LA BRASILAZIO

Nello stesso anno, dato l’alto costo dei giocatori italiani, decide di guardare all’estero. Ai figli degli emigrati sparsi in giro per il mondo, soprattutto in America del Sud. Prima porta a Roma i due cugini italo-brasiliani Fantoni I e Fantoni II. Poi Castelli, De Maria, Del Debbio, Guarisi (Filò), “PepeRizzetti, Tedesco e Serafini. Non solo, manda via anche l’allenatore Molnar ed affida la squadra al brasiliano Amicar Barbuy. È la nascita di quella che viene ricordata come la “Brasilazio”. Una squadra spettacolare che a causa del rendimento altalenante dei giocatori non ottiene i risultati sperati.

TIFOSI D’ECCEZIONE: IL DUCE

 

Tra i tanti tifosi delusi, anche un personaggio importante dell’epoca. Un giorno Zenobi intento a far quadrare i conti della società vede sul suo tavolo una richiesta di associazione accompagnata da un assegno di 1.000 lire. Cifra che a quei tempi in pochi si potevano permettere. Leggendo il nome dell’aspirante socio pensa a uno scherzo ma dopo aver verificato, tramite conferma dell’amico Vaccaro, scopre che il nuovo socio è realmente Benito Mussolini. Zenobi firma e il ‘Duce’ diventa socio della Lazio. I deludenti risultati ottenuti dalla “Brasilazio” e le pressioni del regime che pretende di avere due squadre altamente competitive nella capitale spingono Zenobi alle dimissioni.

PAPA’ SI MA DURO QUANDO SERVE

La sua passione per il pallone lo fa restare nell’ambiente al fianco prima di Palmieri e poi di Gualdi finchè, nel 1938, torna per la seconda volta al comando della società e, pian piano, acquista molto potere. Anche se viene chiamato “papà Zenobi” il presidente ha una personalità dura. Se ne rende conto anche qualche giocatore: Marchini ad esempio anche essendo sotto contratto con la Lazio apre una trattativa con il Torino. Quando il presidente lo viene a sapere non lo fa più allenare e lo tiene fermo per un anno nonostante fosse una pedina fondamentale per il gioco dei biancocelesti. 

IL RITORNO

Anche con la stampa gli scontri sono accesi e molti giornalisti vengono allontanati e portati in tribunale a causa dei loro articoli. Ed è proprio il suo modo di fare a far terminare il suo secondo mandato da presidente e così la società passa ad Andrea Ercoli, altra leggenda della Lazio di quell’epoca. Zenobi torna per l’ennesima volta sulla scena laziale nell’immediato dopoguerra deciso a rilanciare la società sia economicamente che in senso sportivo. Appoggiato dall’ingegner Gualdi porta alla Lazio Arce, Furiassi, Hofling, Puccinelli, i fratelli Sentimenti (strappati alla Juventus) e Sukru.

IL VANTO DEL PRESIDENTE

La Lazio chiude per tre anni consecutivi il campionato al quarto posto in classifica, sempre davanti alla Roma che, nel 1951, conosce per prima nella capitale l’onta della retrocessione. La Lazio riesce a sconfiggere i rivali cittadini per ben 7 volte su 8. E, cosa di cui Zenobi si vanta fino al decesso, in tutti gli anni della sua presidenza non perde neanche un derby. Tre giocatori biancocelesti vengono chiamati in Nazionale per i Mondiali del 1950 in Brasile. Il salto di qualità è vicino ma proprio qui escono fuori i limiti di Zenobi, mai stato in grado di cogliere l’attimo.

LO STADIO

Con un po’ di coraggio in più, con l’apertura a soci facoltosi interessati, la Lazio potrebbe puntare ad arrivare ai livelli di Juventus e Torino. Ma Zenobi non la pensa alla stessa maniera: “La Lazio non ha bisogno di niente”, ripete. Anzi secondo la sua idea, di una cosa sola avrebbe bisogno, di un grande stadio: “Senza un grande stadio non si può avere una grande squadra”. A onor del vero il grande stadio è quasi in arrivo dato che il CONI ha quasi terminato i lavori per la costruzione dello Stadio Olimpico. Lavori iniziati durante il regime Fascista ma poi interrotti e ripresi più volte a causa della crisi economica e della guerra.

LE DIMISSIONI

Il 14 aprile si raduna l’Assemblea generale, Zenobi legge la relazione annuale in cui denuncia un passivo di 170 milioni. L’Assemblea gli riconosce i suoi meriti conferendogli una medaglia d’oro in segno di immenso riconoscimento per quanto fatto come dirigente e presidente per riportare la Lazio ai vertici del calcio italiano. Zenobi si commuove però da uomo d’onore qual è, avendo già scelto il suo successore, l’industriale Antonio Annunziata, conferma le sue dimissioni. Lascia la sala tra gli applausi dei presenti e lascia per sempre la Lazio.

LA SCOMPARSA

Si trasferisce a Ischia per delle cure ma nel corso della vacanza, il 12 maggio del 1953, viene stroncato da un infarto. Il ‘Presidentone’ scompare appena cinque giorni prima di Italia-Ungheria partita in cui viene inaugurato lo stadio Olimpico, lo stadio da 80.000 posti che aveva sempre sognato ma nel quale non ha mai visto giocare la sua Lazio.

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