Le lacrime di gioia di Fabio Pisacane raccontano una sfida vinta. Una sfida che sembrava impossibile: il difensore del Cagliari anni fa rimase paralizzato dalla testa ai piedi. Una malattia rara e insidiosa, la sindrome di Guillain-Barré lo fece addirittura finire in coma. Ecco il perché di quelle lacrime durante la conferenza stampa nel giorno dell’esordio in Serie A, il 18 settembre scorso, nella partita Cagliari-Atalanta. Fabio Pisacane, 30 anni, nasce a Napoli e ad appena 14 anni viene notato dal Genoa che lo tessera. Negli anni successivi gioca con Ancona, Avellino, Cremonese, Lanciano, Lumezzane, Ravenna e Ternana e infine il Cagliari.
Ma prima di tutto questo c’è stato il suo periodo buio: “Una mattina mi svegliai e non riuscivo più ad alzare le braccia. Ho avuto una malattia che attacca il sistema nervoso e per diversi mesi son rimasto paralizzato. Sono stato anche in coma. Con l’aiuto di Dio, però, sono riuscito a cavarmela e a realizzare il mio sogno. Dalla speranza di realizzare il sogno che avevo fin da bambino mi trovai ad affrontare la partita più difficile. In quel momento non pensavo al fatto che forse non avrei più giocato a calcio. Tutti i miei sforzi, le mie speranze erano indirizzate a combattere per un bene più prezioso, la vita”.
La prognosi sulla sindrome di Guillain-Barré varia a seconda delle forme: alcuni pazienti si ristabiliscono completamente, altri dopo sei mesi dalla manifestazione della malattia non sono ancora in grado di camminare, altri non sopravvivono. Fortunatamente però circa l’80% dei pazienti recupera completamente in un arco di tempo che va da pochi mesi a un anno.
Pisacane non solo è guarito completamente ma ha anche ripreso a giocare. A conferma del suo carattere, un episodio accaduto durante la stagione 2010-2011, ed emerso nel corso delle inchieste sul calcioscommesse: il direttore sportivo del Ravenna Calcio gli offrì 50mila euro per far vincere la sua squadra nella successiva partita contro il Lumezzane: lui non solo rifiutò ma denunciò il fatto e per la sua onestà fu nominato Ambasciatore della FIFA. Un percorso limpido che dopo tante sofferenze l’ha portato a raggiungere il suo meritato obiettivo: giocare nella massima serie. E le lacrime, a quel punto, ci stavano tutte.

A venti anni, però, a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale si ritrova combattente nell’aviazione, con i gradi di soldato semplice. Al ritorno dal fronte si iscrive al dramatic workshop di New York. Inizia a lavorare a Broadway con i primi spettacoli finchè, nel 1948, approda a Hollywood. All’inizio gli vengono riservati solo ruoli come caratterista, basandosi sull’impatto che il suo volto sapeva comunicare allo spettatore. Poco soddisfatto si mette in proprio (per così dire) e si cimenta con una regia personale nel film “Gangster story”, accolto malamente sia dalla critica che dal pubblico. Deluso dal cinema, torna al teatro. Per lui Neil Simon scrive “La strana coppia”, commedia in cui interpreta il giornalista sportivo Oscar Madison. E’ la svolta della sua carriera. Il mondo scopre un attore comico completo e duttile, capace di una gamma assai vasta di possibilità espressive. Da quel momento si può dire che Matthau diventa realmente famoso.
Altri innumerevoli successi attendono l’attore, soprattutto a partire dal fortunato incontro con il genio della commedia Billy Wilder. Il regista ha l’intuizione di farlo recitare con Jack Lemmon, e da quel momento nascono alcuni dei momenti più divertenti e significativi della storia di Hollywood. Arrivano sia l’Oscar, con “Non per soldi…ma per denaro” del 1966, e alcuni titoli storici come “Prima pagina”, “Buddy Buddy”, e ancora una volta il suo portafortuna, ossia “La strana coppia”, che anche questa volta non smentisce le aspettative riportando, insieme a Lemmon, un successo superiore anche a quello teatrale.
Sono moltissimi i ruoli che hanno visto Matthau protagonista durante la sua carriera. Spassoso ed enigmatico in “Appartamento al Plaza” e in “Vedovo, aitante, bisognoso d’affetto offresi anche baby sitter”, entrambi del 1971. Malandato ma efficace rapinatore in “Chi ucciderà Charley Varrick?” del 1973, elegante e di classe in “Visite e domicilio” del 1978 e soprattutto “Due sul divano” del 1980. Seguono poi ruoli più sofisticati e complessi, riuscendo ad esempio ad essere credibile nei panni del padre alcolizzato di “Quel giardino di aranci fatti in casa” del 1982 o del benzinaio disoccupato in “Come ti ammazzo un killer” del 1983. Registi e sceneggiatori non sembrano essere più in grado di confezionare ruoli adatti alla sua misura d’attore.
Il risultato lo si riscontra in film come “Pirati” o “Dinosauri a colazione” fino a quando Roberto Benigni gli offre la parte del prete esorcista in “Il piccolo diavolo”. Il film incassa tantissimo e sia l’uno che l’altro entrano nel cuore degli spettatori fornendo prove che sono un culto della cinematografia, come in quella dove il “diavolo” Benigni provoca il “prete” Matthau. Negli anni Novanta è incisivo nella parte del senatore Long in “JFK”. A Matthau non resta che tornare alla vecchia commedia hollywoodiana e alle vecchie gag con il fidato Lemmon in “Due irresistibili brontoloni” e soprattutto in “La strana coppia II” in cui i due attori rivestono i panni di Felix e Oscar a trent’anni dall’originale.
sconfitta di Sassuolo e con una classifica che non lascia tranquilli gli uomini di Iachini. Ma nonostante ciò la sfida resta delicata, non sarà facile però tornare con i tre punti dalla Dacia Arena, impianto che ha regalato gioie e delusioni ai capitolini. Il bilancio dei 37 precedenti in A è infatti in pieno equilibrio. Tra le mura bianconere si registrano 13 vittorie a testa e 11 pareggi.
versione giovane dell’ex mister Edy Reja. L’unica differenza con il friulano è che Inzaghi non ha alcuna paura di lanciare un giovane se lo ritiene opportuno, anzi…(vedi Lombardi). Cataldi lo ha promesso: “Il gioco con il tempo arriverà”, e ha ragione. Inzaghi purtroppo sta ancora cercando la giusta formula per far rendere al massimo tutte le sue armi letali (Da Felipe Anderson a Milinkovic-Savic, da Keita a Immobile). E’ vero… per questo esistono i ritiri estivi ma non dimentichiamoci che il mister ha lavorato sì sul 4-3-3, ma con una squadra che dire “incompleta” è un eufemismo. Di fatto ormai Auronzo di Cadore si è trasferito a Formello perché soltanto da un mese il mister sta lavorando con la rose completa (niente Europei, niente Olimpiadi, niente Copa America ecc.), anzi lavorava visto che i tanti infortuni gli stanno complicando (e non poco) la vita. Per adesso i numeri sono dalla sua parte: per quanto riguarda i chilometri percorsi è la seconda di tutto il campionato e per i gol, invece, è riuscita a segnarne 10 con 9 marcatori diversi. In sostanza, non rimane altro che lavorare da squadra con impegno e altruismo, per riuscire a raggiungere risultati importanti con il buon auspicio delle statistiche che riguardano anche proprio l’allenatore laziale: 13 partite e 7 vittorie in Serie A, mica male per un “esordiente”…Diamogli fiducia, dobbiamo assolutamente stargli accanto. Dieci punti per come si sta mettendo la situazione non sono male, perciò aspettiamo. Tanto per criticare c’è sempre tempo…
