Di spunti di cui parlare, dopo la vittoria contro l’Empoli, ce ne sarebbero parecchi. Questione di gioco che manca ancora ad una Lazio soprattutto timida e intimorita dai toscani nel secondo tempo, proprio quando sarebbe stata l’ora di sferrare il colpo di grazia. Oppure della gestione del caso Biglia, rischiato senza motivo in una partita che sicuramente si poteva vincere come si è poi effettivamente fatto, con Danilo Cataldi in campo dal primo e non dal nono minuto. E d’altronde se anche i giocatori a fine partita hanno parlato di risultato positivo come unica nota lieta del pomeriggio, qualcosa vorrà dire.
La critica è importante, e gli spunti non mancano, per riflettere, migliorare e migliorarsi. Poi però capita di tornare a casa, leggere la solita ridda di commenti tra radio e social network, e arrabbiarsi un po’. Proprio quando non era possibile aspettarselo, visto che la vittoria non poteva non offrire gli spunti di riflessione di cui sopra. Tifosi sì, ottusi no. Eppure, c’è qualcosa, troppo spesso c’è qualcosa.
C’è qualcuno a cui se la Lazio vince, rode. Ma rode parecchio. E non sono quelli che criticano, giustamente e legittimamente anche, perché se qualcosa non piace è giusto dirlo, vivendo ancora in un paese libero. Il problema è quelli che si vede che gli rode, si sente, è quasi fisicamente percepibile. Perché ormai si è ingaggiata una guerra senza quartiere alla propria squadra del cuore ed avere ragione è più importante di qualsiasi altra cosa. Anzi, meno di una: dimostrare di avere potere. E allora se non posso dimostrare di avere potere sulla società (una delle più longeve della storia della Lazio, forse era meglio se non si impicciavano, queste influentissime teste di c***o), allora largo al massacro all’allenatore. Che se il capoclaque dice che è simpatico, va difeso anche se ne perde tre su sette. Se dice che è antipatico, allora apriti cielo. A prescindere, senza considerare che se si punta su un allenatore ex Primavera, al limite va criticata la scelta a monte, ma non puoi non dare tempo a chi prova a gestire una cosa grande e complicata come la Lazio.
Poi vedi lo stadio vuoto, senti le bocche storte e le frasi velenose sputate quando si vince: fateci caso, è un metodo infallibile. Se si perde a Milano è una sentenza senza appello di fallimento e mediocrità, se si vince (Atalanta, Pescara, Empoli) il sipperò è sempre dietro l’angolo. Questo modo di ragionare è piuttosto pericoloso e peserà molto sull’ambiente laziale anche dopo l’avvento di una nuova proprietà. Perché, la notizia è questa, noi non siamo infinito. Non ci sono risorse che si rinnovano automaticamente, anche gli opportunisti a un certo punto si stuferanno di tornare allo stadio se si vincerà, nessuno farà sentire la sua voce se perderemo.
Come diceva Nietzsche, è bello stare seduti sul ciglio a guardare l’abisso, il problema diventa quando l’abisso guarda te. Questo gioco al massacro non porterà a nulla se non a un meraviglioso declino. A Roma l’equilibrio manca spesso, dopo una partita come quella di ieri è difficile essere soddisfatti, ma così il disappunto di qualcuno quando la Lazio vince inizia a diventare davvero troppo evidente. E soprattutto, fastidioso.
Fabio Belli
Era un po’ tardi ma alla fine hai capito
che Noi non siamo infinito
Preferire essere meteore
che esplodono in un bagliore
diversi da questi pianeti coglioni
mobili nelle loro posizioni
che non sentono niente,
non fanno domande
hanno solo soluzioni
Non ce ne andremo facendo l’inchino
dovrei mangiare senza avere appetito
se mi permetto di non essere pentito
perché noi non siamo infinito
te lo prometto faremo un casino
senza futuro non esiste il destino
se abbracceremo questo splendido declino
perché noi non siamo infinito

Nonostante alcune fonti riportino Alessandria d’Egitto Anna Magnani ha sempre sostenuto di essere nata a Roma il 7 marzo 1908. Cresciuta dalla nonna materna in condizioni di estrema povertà inizia molto presto a cantare nei cabaret e nei night-club romani e contemporaneamente studia all’Accademia d’Arte Drammatica. Tra il 1929 e il 1932 lavora nella compagnia teatrale diretta da Dario Niccodemi e nel 1934 passa alla rivista divenendo ben presto uno dei nomi più richiesti del teatro leggero italiano. Lavora con Vittorio De Sica e con Totò, con il quale recita in numerose riviste, come “Quando meno te l’aspetti” nel 1940 e “Volumineide” nel 1942.
Nel cinema si rivela nel film di De Sica “Teresa Venerdì” del 1941. In seguito interpreterà alcune commedie leggere: “Campo de’ Fiori” nel 1943, “L’ultima carrozzella” nel 1944, “Quartetto pazzo” nel 1945, fino a quando arriva la sua completa rivelazione nel film neorealista “Roma città aperta”, sempre del 1945 di Roberto Rossellini, con il quale avrà una burrascosa ma intensa relazione amorosa. In quest’ultimo film la Magnani si rivela interprete dotata di una incredibile sensibilità recitando nella parte di Pina, popolana romana uccisa mentre tenta di raggiungere il camion sul quale i nazisti stanno per deportare il suo uomo.
Accanto a uno straordinario Aldo Fabrizi, la Magnani rappresenta la redenzione di un popolo, attraverso le sue grandi qualità umane e morali, tanto che la sua interpretazione le farà meritare il primo dei suoi cinque Nastri d’argento. Nel trionfo neorealistico è d’obbligo tratteggiare per lei la figura della popolana sfacciata, volitiva, sempre sicura e persino violenta nella difesa dei giusti valori, attraverso la sua bonaria veemenza. L’apoteosi di questo personaggio è “L’onorevole Angelina”, del 1947, dove interpreta una donna di borgata “chiamata” a far politica per rappresentare gli interessi della povera gente come lei.
Nel 1948 interpreta l’episodio ‘La voce umana’ del film di Rossellini “L’amore”, nel quale si cimenta in un grande pezzo di bravura interpretativa: la telefonata di una donna abbandonata dall’amante. Nel 1951 un altro grande ruolo nell’amaro “Bellissima” di Visconti: quello della donna frustrata che trasmette le sue illusioni ed i suoi sogni infranti nell’impossibile carriera cinematografica della figlia a costo anche di mettere in crisi il suo matrimonio. Anche questo film le vale un Nastro d’argento. Nel 1955 la Magnani vince il premio Oscar per la sua interpretazione nel film “La rosa tatuata”. In seguito sarà interprete di pellicole di media-alta qualità come “Suor Letizia” del 1956, “Nella città dell’inferno” del 1958 e “Risate di gioia” nel 1960, il primo e unico film accanto al suo vecchio compagno di palcoscenico Totò. Nel 1962 prende parte al film “Mamma Roma” di Pasolini.
