“Come se fosse antani anche per lei soltanto in due, oppure in quattro anche scribàcchi confaldina? Come antifurto, per esempio.“
“Ma che antifurto!” rispondeva il vigile al conte Lello Mascetti. “Amici Miei” ha fatto scuola nella commedia all’italiana per tante scene, ma quella della Supercazzola è la più citata. Ha ragione, perché in Italia la libertà di espressione è il diritto più esercitato dalla popolazione, roba da riVoltaire nella tomba. Il caso Cardelli non fa eccezione.
Oggi come oggi un diamante può essere roba pericolosa, se non sai da dove arriva. Un post su Facebook, quello sì, è per sempre, soprattutto se fatto bene, e questo al giovane Filippo Cardelli, diciott’anni e un metro e ottanta voglia di andarmene, va riconosciuto. La comunicazione oggi come oggi è tutto, e ci sono messaggi che arrivano meglio di altri. Se diciamo “calcio“, “stranieri“, “sogni rubati“, è sin troppo facile vincere la partita a Pictionary delle idee comuni: ecco, vengono a rubarci le donne e il lavoro, a volte neanche in quest’ordine!
Piccolo riassunto per chi non conosce l’antefatto: Filippo Cardelli, centrale di difesa della Primavera della Lazio, quest’anno avrebbe dovuto, o comunque potuto, essere una delle colonne della squadra allenata da Andrea Bonatti. Reduce da un grave infortunio il ragazzo, va detto, non ha avuto tutti i torti nel fare quello che ha fatto. Ovvero, sbottare su Facebook dicendo che a lui vivere un mondo del calcio in cui gli stranieri hanno sempre la precedenza sugli italiani, con relativi contratti firmati con maggiore disinvoltura, fa schifo. E il problema non è squisitamente economico: avere un contratto significa anche avere accesso alle strutture della società, ai campi di allenamento, alla palestra, alle visite mediche, tutte cose che obiettivamente sono indispensabili quando si riparte dopo un infortunio.
Però poi il panegirico diventa appunto una “supercazzola”: forse il caso Cardelli andava analizzato più dal sindacato calciatori, pensando come tanti giovani non abbiano la tutela del contratto nei momenti più difficili. La categoria però, si sa, tende a specchiarsi parecchio e i suoi rappresentanti non sono da meno. Invece la storia è passata, come se fosse antani è il caso di dirlo, al solito problema del calcio degli stranieri, di noi che non crediamo più in noi stessi, nel calcio pane e salame e la Nazionale dove va, eh? In malora, ecco dove!
La cosa che fa un po’ sorridere è che Cardelli in questo scenario andrà a giocare all’estero. Nel Kansas City hanno detto, o qualcuno a Chicago, manco a farlo apposta un altro americano a Roma. Ora, criticare un calcio che offre troppo spazio agli stranieri e poi andare a fare lo straniero in un altro calcio, va bene ma non benissimo, come si dice oggi. Nella società cosmopolita a stelle e strisce non accadrà, ma sarebbe bello se i compagni di squadra di Cardelli nel Kansas City (la squadra, non quello di Alberto Sordi) dicessero che gli fa “schifo” giocare con troppi stranieri vicino?
La verità è che bisognerebbe un po’ svegliarsi. Il calcio sta cambiando, sempre più velocemente e non sempre è facile da capire. Ma la retorica non porta da nessuna parte. Bisognerebbe interrogarsi sul fatto che nel campionato Primavera, come Il Giornale ha rilevato dopo una ricerca, la percentuale degli stranieri nelle rose è del 17,3%, salendo invece al 56,6% nel campionato di Serie A. Segno che il made in Italy va per la maggiore, ma poi il mercato globale ti costringe a puntare su qualità che non tutti i talenti di casa possiedono. Fa male dirlo, perché chi c’era ricorda con nostalgia quel calcio tutto italiano con le maglie dall’1 all’11. Ma nel 2016 anche i calciatori italiani possono spargersi per il globo, con lo scorno di chi vorrebbe 11 americani in campo (chiedete a Donald Trump).
Sia chiaro, la critica è rivolta a chi ha prodotto retorica strappalacrime su un caso che, nello specifico, può e deve far riflettere la Lazio. Se un ragazzo, nella fattispecie Cardelli, si è sentito abbandonato e maltrattato quando un infortunio, quello sì, ha rischiato di spezzare i suoi sogni, non fa onore al club ed è una questione che probabilmente andrà analizzata e risolta privatamente. Ma si tratta dello stesso club che nella prima giornata di campionato ha mandato in gol Lombardi e Cataldi, che ha in rosa Murgia, che vede giocare in Serie B Palombi, Germoni (ieri bella prova con la Ternana), Filippini, Crecco, Guerrieri ed altri ne stiamo dimenticando.
Parafrasando un famoso detto, dunque, chi vale alla fine vola e chi non vola non è detto che non sia un vile, anzi in fondo le occasioni nel calcio globalizzato non mancano: la lezione del caso Cardelli (salvo i suddetti comportamenti tra club e giocatori per i quali prendiamo per buona la versione del ragazzo) è che l’allarme “troppi stranieri” fa vendere ancora una cifra. Ma all’analisi dei fatti, resta una bella supercazzola, soprattutto se parliamo di settore giovanile. D’altronde, se fossimo tutti Messi, sai che pacchia. A parte per il fisco, ovvio.
Fabio Belli

Nel 1943 dopo aver vinto il titolo regionale di salto in alto, viene intervistato da un giornalista de La Stampa che gli chiede di lavorare per il giornale. Mike accetta e il 5 maggio appare il suo primo articolo. L’anno dopo l’occupazione tedesca dell’Italia partecipa alla Resistenza e poi cerca di partire per la Svizzera. Fermato, sta per essere fucilato, ma i tedeschi scoprendo che è cittadino americano lo conducono al carcere di San Vittore per interrogarlo. Qui incontra Indro Montanelli. Il 26 settembre dello stesso anno viene portato nel campo di concentramento di Bolzano. Si salva grazie a uno scambio di prigionieri tra Germania e Stati Uniti.
Nel 1946 inizia a lavorare alla radio italiana di New York prima come pubblicitario, poi come addetto ai palinsesti e infine come annunciatore. Nel 1948 Vittorio Veltroni (padre di Walter), direttore del giornale radio della Rai, lo battezza Mike e gli affida l’incarico di corrispondente dagli Stati Uniti. Nel 1953 torna in Italia dove racconta la rinascita del Paese per la radio americana e ritrova la madre. L’anno dopo Veltroni gli affida “Arrivi e partenze”, il primo programma della televisione italiana. Due anni dopo parte “Lascia o raddoppia”, il quiz che cambia la storia della tv italiana. Nel 1960 è al fianco di Enzo Tortora per condurre “Campanile Sera”. Nel 1963 presenta il primo dei suoi tredici Festival di Sanremo. Nel 1970 debutta “Rischiatutto”, il 1976 è l’anno di “Scommettiamo?”.
