Fine mercato, tempo di riflessioni. Ognuno ha detto la sua su una Lazio potenzialmente interessante, ma forse priva di alternative valide, un po’ in tutti i reparti. Come sempre le analisi in questo caso devono essere lucide: inutile il disfattismo di chi vede in Jordan Lukaku il “fratello scemo” di Romelu, in Immobile una sorta di vecchio straccio e in Luis Alberto il degno erede di Alvaro Soler.
Allo stesso tempo, è difficile che le tante scommesse alle quali la Lazio si è affidata a livello tecnico in questa campagna acquisti vadano tutte a segno. L’undici titolare a disposizione di Simone Inzaghi, al netto delle conferme di Bastos e Lukaku ai livelli visti contro Atalanta e Juventus (solo Juventus nel caso dell’angolano) e del recupero di Keita, sembra decisamente competitivo. Sono le alternative a mancare, in una rosa che numericamente ha perso qualcosa rispetto alla passata stagione, anche se qualitativamente potrebbe essere cresciuta, almeno si spera.
Ma un’altra domanda sembra legittima a questo punto, considerando la composizione della rosa biancoceleste: chi è il leader di una squadra che nella scorsa stagione ha pericolosamente difettato in personalità? Verrebbe da dire Lucas Biglia, d’istinto considerando anche i gradi di capitano dell’argentino e quanto si sia dimostrato attento a caricare i compagni di squadra all’inizio delle prime due partite di campionato. Un atteggiamento diverso a quello di due anni fa, in cui la presenza di Antonio Candreva forse rappresentava un’inconscia ansia per il biondo sudamericano, con l’esterno di Tor de’ Cenci che si sentiva usurpato del legittimo possesso della fascia.
Ad Auronzo di Cadore, partiti veterani come Klose e Mauri, sono stati Radu e Lulic a provare a prendere in pugno la situazione, in assenza di Biglia. Soprattutto con Keita i due senatori hanno usato il pugno di ferro, facendo capire al senegalese che le sue bizze erano del tutto indigeste allo spogliatoio. Potrebbe essere un leader silenzioso Stefan De Vrij, visto l’effetto dirompente del suo ritorno in difesa, che tutti si attendevano visto il rendimento dell’olandese di due stagioni fa. E potrebbe diventarlo, chissà, Ciro Immobile, capace di lottare da solo contro le belve juventine nella partita di sabato scorso.
L’impressione però è che alla Lazio servano figure di forte personalità per uscire dal guscio. La stagione sarà lunga e ricca di insidie, sarà necessaria una roccia a cui aggrapparsi nei momenti di burrasca. Esattamente ciò che è mancato nella scorsa stagione.
Fabio Belli

“E’
un’adolescenza che non ha altri pensieri se non la gioia di vivere. Ero un chierichetto e la chiesa era il rifugio pomeridiano, l’angolo della riflessione prima del gioco. Poi andavamo a bagnarci nelle acque sotto la diga, quel ritaglio, nei nostri sogni, era la piscina, così la chiamavamo; ballavamo con le canzoni di Battisti, la sua musica accompagnava le nostre sere, alla discoteca lo Scoiattolo, poi in quella dentro l’hotel Roma. Non posso più cercarle, non potrei ritrovarle ma non le cancello. Ogni estate era una pagina da sfogliare di nuovo, il momento per ritrovare gli amici e i parenti, per ricordare giochi e passioni, il parco dei divertimenti che per tutti è l’infanzia, è l’adolescenza. Oggi una fetta di quegli amici, un’altra di quei parenti, non ci sono più, improvvisamente scomparsi. Li piango, non li dimentico così come Amatrice piange straziata i morti ma non può morire assieme, anzi deve ricominciare a vivere. Io provo questo dolore fortissimo, come una lesione sul mio corpo. Ma so che la mia città antica saprà rinascere nuova e uguale a se stessa. Il mio impegno sarà profondo e continuo ed è già avviato, io ci sono. Lo sport potrà aiutare a raggrumare idee e denari, a trovare lo spirito per iniziative certe, sicure, senza angoli bui, senza zone oscure, soprattutto in tempi brevi. Questo dovremo fare. Questo farò io“.

