Ultima conferenza stampa di Antonio Conte da ct della Nazionale dopo l’eliminazione da Euro 2016 avvenuta dopo la sconfitta contro la Germania ai rigori. Di seguito la conferenza completa.
Il tecnico leccese ha evidenziato quanto l’Italia facesse paura ai tedeschi: “La Germania ci rispetta e lo dimostra il fatto che hanno modificato il loro sistema di gioco. E’ stata una gara maschia sotto tutti i punti di vista. Sturato ha avuto un problema al ginocchio e ha fatto una partita stoica, avevo difficoltà a trovare un sostituto. I ragazzi dimostrano che volere è potere, col lavoro si possono raggiungere risultati insperati. Dispiace uscire così ma va avanti una squadra fortissima. Averli tenuto testa significa molto. Torniamo a casa sereni sapendo che abbiamo dato tutto il possibile. Sono stati due anni fantastici culminati in un mese e mezzo incredibile. Ringrazio tutta la rosa dei 23, lo staff, i magazzinieri, i medici, si era creato qualcosa di magico”.
SOLO CONTRO TUTTI
Il ct della Nazionale si toglie un po’ di sassolini dalla scarpa: “La decisione di lasciare la Nazionale è stata presa in anticipo anche se per un momento avrei voluto continuare, però non ho potuto soprassedere su alcuni fatti. Nessuno mi ha supportato, neanche i giornalisti, sono sempre solo nel fare guerra a tutti. Va bene così, io lavoro in funzione della squadra e non per me. Qualcuno ha fatto passare questo messaggio per fare le trasmissioni. Nessuno mi ha appoggiato, il presidente lo ha fatto fino a un certo punto. Spero che in futuro si dia più spazio alla Nazionale. Mi sono battuto fino all’ultimo anche per spostare la Coppa Italia. Lascio una piccola macchina da guerra. Serve amore per la Nazionale, spero che sia passato questo messaggio”.
GENERAZIONE DI TALENTI
Conte è convinto del potenziale degli azzurri: “La mia più grande soddisfazione è aver lavorato con questi ragazzi che mi hanno dato tutto, hanno buttato il cuore oltre l’ostacolo. Credo che questo la gente lo apprezzi. I ragazzi hanno trasmesso lavoro, sacrificio, entusiasmo… C’è una generazione che può crescere, le va data fiducia. I ragazzi devono giocare partite a questo livello. C’è una traccia importante che bisogna continuare, la federazione farà di tutto per proseguire questo lavoro”. Infine sul Chelsea: “Appena ho deciso di non continuare con la Nazionale ho avvertito il presidente, dopodiché si è presentata l’occasione di andare lì e ho accettato. Ora ho bisogno di scaricare la delusione con una settimana di vacanza poi inizierò questa nuova difficile avventura, ma a me piacciono le sfide”.
Fabrizio Piepoli

Icona sexy e rockstar incontrollabile negli ultimi tempi, ormai preda dei suoi vizi, litiga sempre più spesso con il resto della band e con la sua compagna. Nel 1969 l’episodio peggiore. Durante il concerto di Miami, al Dinner Key Auditorium, dopo un lungo tour europeo e soprattutto dopo il tutto esaurito al Madison Square Garden, però, Morrison esagera e il concerto degenera in una vera e propria sommossa: sebbene non ci siano prove il cantante viene accusato di aver mostrato i genitali al pubblico. Il 20 settembre del 1970 viene processato e condannato per atti contrari alla morale e bestemmia in luogo pubblico, ma non per ubriachezza molesta e oscenità. È l’inizio della fine. Dopo qualche mese dal triste episodio di Miami, mentre si trova su un volo diretto a Phoenix, si fa arrestare nuovamente per ubriachezza e condotta molesta.
Le cose sembrano poter migliorare ma il 3 luglio Jim Douglas Morrison muore, in circostanze mai chiarite, nella sua abitazione. Due giorni dopo, durante un funerale di otto minuti e alla sola presenza della compagna, dell’impresario Bill Siddons, giunto dall’America, e della regista e amica di Jim, Agnes Varda, viene sepolto nel Cimitero di Père-Lachaise. Forse la morte è stata generata veramente da un attacco cardiaco, come riportato nella versione ufficiale, causato dall’eccesso di alcool; forse una morte inscenata ad hoc per fuggire dalla CIA, incaricata di “fare fuori” tutti i miti della controcultura, i sovversivi come Morrison, Janis Joplin, Jimi Hendrix; o forse, date le sue frequentazioni parigine, una overdose di eroina pura, molte sono e restano le congetture fatte sulla sua morte.
Anni in cui la tecnologia avanzava tra la locomotiva a vapore e la rapidità impulsiva del telegrafo elettrico in un incedere inesorabile, foriero di invenzioni, soluzioni e ritrovati che hanno contribuito a delineare i contorni della seconda rivoluzione industriale. Al crepuscolo del secolo precedente il progresso assurgeva a concetto fondante dell’identità occidentale. E con la forza di conquiste scientifiche ritenute fino a poco tempo prima impensabili sconvolgeva ogni campo dell’attività umana. Compresa la mobilità: con l’incontro decisivo tra petrolio e ingegneria meccanica l’uomo liberava il cavallo e poneva le basi per la nascita di un oggetto rivoluzionario, descritto come capace di spostarsi da sé: l’automobile.
Si arriva così al 3 luglio 1886 quando tra gli sguardi dei passanti, le cui espressioni variavano tra lo stupore e il disgusto, Karl Benz effettuò la prima passeggiata automobilistica della storia. In un primo momento la vettura era sprovvista di un vero e proprio serbatoio, e quindi si rese necessario che Eugen Benz, il primogenito, seguisse a piedi l’auto riempiendo il carburatore ogni volta che esauriva la sua scorta di carburante. La stampa dell’epoca non si fece scappare la notizia e tra parole di apprezzamento e di grande fiducia ne decantò le lodi ma, ignorandone il vero nome, battezzò la vettura “Velociped”. Infatti, quando si parla di Benz Velociped ci si riferisce proprio alla Patent Motorwagen. Nonostante tutto la vettura fece fatica a conquistare i favori del pubblico e il successo tardò ad arrivare. Neanche il tentativo di presentarla a una mostra era servito per cui Benz cadde in depressione.
Fu la moglie Bertha a ideare uno stratagemma tale da far impennare la celebrità della vettura e la sua reputazione dal punto di vista dell’affidabilità. Il 5 agosto 1888 la signora Benz “rubò” l’autovettura al marito e con i due figli percorse i circa 90 km che la separavano dalla casa dei suoi genitori, per poi tornare a Mannheim. La voce di tale impresa si diffuse ben presto nell’intero Paese. Con il suo stratagemma, Bertha Benz, non solo contribuì a consolidare la reputazione della Patent Motorwagen, ma anche al concetto stesso di automobile.
