Sono già trascorsi ventidue anni da quando ci ha lasciato Kurt Cobain, cantante, chitarrista e leader dei Nirvana, il più popolare gruppo grunge fine anni ottanta-inizi anni novanta. Il corpo dell’artista fu ritrovato l’8 aprile 1994 nella sua casa vicino al lago Washington, nei pressi di Seattle, ma la polizia stabilì che si era suicidato con un colpo di fucile tre giorni prima. Aveva appena 27 anni. Nei suoi ultimi mesi di vita Cobain venne spesso in Italia.
A fine febbraio 1994 i Nirvana si esibirono nel programma televisivo Tunnel, per quella che fu una delle loro ultime performance dal vivo. Il gruppo veniva da un tour promozionale che aveva già subito degli stop imprevisti per via dei frequenti problemi di Cobain con le droghe. Dopo essere stato in Germania, a Monaco, gli furono diagnosticate una laringite e una bronchite. Per curarsi venne a Roma, dove fu raggiunto dalla moglie Courtney Love. Nella capitale, dopo un’overdose da eroina, fu ricoverato al Policlinico Umberto I e una volta ristabilitosi tornò negli Stati Uniti. Il 18 marzo Courtney Love telefonò alla polizia denunciando che Cobain, al termine di un litigio nella loro casa, si era chiuso in bagno con una pistola minacciando di uccidersi. Alla fine del mese si sottopose a un programma di recupero per tossicodipendenti all’Exodus Medical Center di Los Angeles, in California, ma scappò solo due giorni dopo per andare a Seattle. L’8 aprile 1994 un elettricista arrivò a casa di Cobain per installare un sistema di sicurezza. Fu lui a trovare Kurt riverso e disse di avere inizialmente pensato che Cobain dormisse, ma che subito dopo notò la presenza del fucile. In seguito l’autopsia stabilì che la morte fu causata da un colpo di fucile alla testa.
Cobain lasciò una lettera con questo testo scritto a mano:
“Vi parlo dal punto di vista di un sempliciotto un po’ vissuto che preferirebbe essere uno snervante bimbo lamentoso. Questa lettera dovrebbe essere piuttosto semplice da capire. Tutti gli avvertimenti della scuola base del punk-rock che mi sono stati dati nel corso degli anni, dai miei esordi, intendo dire, l’etica dell’indipendenza e di abbracciare la vostra comunità si sono rivelati esatti. Io non provo più emozioni nell’ascoltare musica e nemmeno nel crearla e nel leggere e nello scrivere da troppi anni ormai. Questo mi fa sentire terribilmente colpevole. Per esempio quando siamo nel backstage e le luci si spengono e sento il maniacale urlo della folla cominciare, non ha nessun effetto su di me, non è come era per Freddie Mercury, a lui la folla lo inebriava, ne ritraeva energia e io l’ho sempre invidiato per questo, ma per me non è così. Il fatto è che io non posso imbrogliarvi, nessuno di voi. Semplicemente non sarebbe giusto nei vostri confronti né nei miei.
Il peggior crimine che mi possa venire in mente è quello di fingere e far credere che io mi stia divertendo al 100%. A volte mi sento come se dovessi timbrare il cartellino ogni volta che salgo sul palco. Ho provato tutto quello che è in mio potere per apprezzare questo (e l’apprezzo, Dio mi sia testimone che l’apprezzo, ma non è abbastanza). Ho apprezzato il fatto che io e gli altri siamo riusciti a colpire e intrattenere tutta questa gente. Ma devo essere uno di quei narcisisti che apprezzano le cose solo quando non ci sono più. Io sono troppo sensibile. Ho bisogno di essere un po’ stordito per ritrovare l’entusiasmo che avevo da bambino. Durante gli ultimi tre nostri tour sono riuscito ad apprezzare molto di più le persone che conoscevo personalmente e i fan della nostra musica, ma ancora non riesco a superare la frustrazione, il senso di colpa e l’empatia che ho per tutti. C’è del buono in ognuno di noi e penso che io amo troppo la gente, così tanto che mi sento troppo fottutamente triste. Il piccolo triste, sensibile, ingrato, pezzo dell’uomo Gesù! Perché non ti diverti e basta? Non lo so. Ho una moglie divina che trasuda ambizione ed empatia e una figlia che mi ricorda troppo di quando ero come lei, pieno di amore e gioia.
Bacia tutte le persone che incontra perché tutti sono buoni e nessuno può farle del male. E questo mi terrorizza a tal punto che perdo le mie funzioni vitali. Non posso sopportare l’idea che Frances diventi una miserabile, autodistruttiva rocker come me. Mi è andata bene, molto bene durante questi anni, e ne sono grato, ma è dall’età di sette anni che sono avverso al genere umano. Solo perché a tutti sembra così facile tirare avanti ed essere empatici. Penso sia solo perché io amo troppo e mi rammarico troppo per la gente. Grazie a tutti voi dal fondo del mio bruciante, nauseato stomaco per le vostre lettere e l’appoggio che mi avete dato negli anni passati. Io sono troppo un bambino incostante, lunatico! E non ho più nessuna emozione, e ricordate, è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente.
Pace, amore, empatia.
Kurt Cobain.
Frances e Courtney, io sarò al vostro altare.
Ti prego, Courtney, continua così, per Frances.
Per la sua vita, che sarà molto più felice senza di me.
VI AMO. VI AMO.

Dopo aver conquistato il mercato in Germania, Spagna e Stati Uniti ora il brand Zte punta al mercato italiano. L’azienda cinese non si sbilancia sulla cifra degli investimenti che il gruppo vorrà fare nel nostro paese ma l’obiettivo è chiaro.
Come spiegato da Gianluca Cotroneo, account manager di Zte Italy, in viaggio per l’Italia con il pullman promozionale: “Vogliamo copiare il modello tedesco e quello spagnolo anche in Italia, un mercato vivo su cui puntare. Zte, da circa un anno, ha deciso di investire sul marketing in maniera più forte. In Spagna e Germania siamo presenti con la grande distribuzione e il brand è conosciuto. Ma lì le attività sono iniziate un po’ prima. Anche in Italia vogliamo entrare nella grande distribuzione e tra quale mese annunceremo grandi novità”.
Fino a un anno fa, Zte basava il suo business sugli smartphone marchiati dagli operatori: “Adesso invece siamo presenti con il nostro brand. Puntiamo a presentare dispositivi con molta tecnologia all’interno, ma soprattutto che abbiano qualcosa in più rispetto alla concorrenza. E questo a un prezzo competitivo. Abbiamo intenzione di entrare nel mercato senza investire nella televisione, ma arrivando ad accordi con una grande squadra di calcio di Serie A.
Oggi abbiamo una partnership con il Torino e facciamo sponsorizzazione a bordo campo. In Spagna siamo main sponsor del Siviglia. Vogliamo arrivare a questo anche in Italia. Puntiamo al calcio perché è lo sport principale”. 150 filiali nel mondo Zte in Europa è già presente in Turchia e sta crescendo in Germania, dove ha raggiunto una quota di mercato del 5% nei dispositivi non brandizzati dagli operatori: “Ma se prendiamo i device di fascia medio bassa, allora arriviamo al 7%”. Anche in Spagna la fetta di mercato conquistata varia tra il 3% e il 4%: “C’è anche un’idea di espanderci in Francia, ma là il mercato è particolare e hanno un loro produttore locale che piace”. E’ oltreoceano che l’azienda si sta affermando: “Siamo in Messico e in Venezuela. Ma è dagli Stati Uniti che arrivano i risultati migliori: là siamo il quarto brand dopo Samsung, Apple, Lg. Sfruttiamo partnership con gli operatori e sponsorizziamo cinque squadre di Nba”.
Sempre ammesso che qualcosa cambi, che tipo di Lazio dovremmo aspettarci? Partendo dal modulo, come sostiene il Corriere dello Sport, sembra acclarato che la tattica base da cui ripartirà questo mini ciclo biancoceleste dovrebbe essere il 4-3-3: Inzaghi, nella sua pluriennale esperienza con la squadra Primavera, ha sempre adottato questo modulo, e la soluzione del 4-3-1-2 con un trequartista puro alle spalle di due punte non sembra percorribile. In porta confermato Marchetti, nonostante anche la sua stagione non sia stata delle più positive; Berisha rimarrà comodamente in panchina, in attesa di una sua cessione a giugno in un club che gli permetterà di giocare con più regolarità per mettere in mostra le sue doti, sempre ammesso che di doti ce ne siano. Sulla difesa c’è poco da dire: gli interpreti sono quelli e Inzaghi avrà poco da inventarsi, anzi dovrà continuare a fronteggiare il problema infortuni e non è da escludere, anzi è quasi certo, che alla ripresa contro il Palermo la linea difensiva biancoceleste sarà la stessa che è stata violentata più volte ieri pomeriggio dall’attacco giallorosso, fatta eccezione per l’ingresso di Mauricio al posto dello squalificato Hoedt. Dalla padella alla brace insomma. A centrocampo ovviamente il faro continuerà ad essere il capitano Lucas Biglia, protagonista anche lui di una stagione sotto le righe, ma elemento imprescindibile per la mediana biancoceleste; Parolo dovrebbe mantenere il suo posto, mentre per la terza maglia salgono le quotazioni dell’ex capitano Mauri, a scapito del giovane Cataldi. Non è da escludere l’inserimento nel gruppo dei possibili titolari di Ravel Morrison, oggetto misterioso di questa tragicomica annata biancoceleste. In attacco Klose parte con i gradi di titolare, mentre per gli esterni dovrebbero essere in pole position Felipe Anderson e Lulic, per una formazione più bilanciata. Esclusi Candreva e Keita quindi, Matri e Djordjevic seconde scelte, Kishna chissà invece in quale clinica specializzata si sta facendo visitare.
Ci si augura inoltre, in un finale di stagione in cui la Lazio non ha più nulla da chiedere alla classifica, al di là di dichiarazioni più o meno convincenti su poco plausibili ambizioni d’Europa (vedi Biglia), che Simone Inzaghi provi ad inserire in pianta stabile in prima squadra qualche promettente giovane della Primavera. All’attaccante Palombi, al centrale di difesa Mattia e al centrocampista Murgia potrebbe essere concessa qualche chance, così come al giovane portiere Guerrieri, per non si sa quale motivo costretto a una stagione da terzo alle spalle di Marchetti e Berisha, quando ad un giovane promettente come lui doveva essere concessa l’opportunità di andare a giocare e farsi le ossa. La Lazio di Inzaghi prende quindi forma, una forma non troppo lontana da quella che aveva con Pioli, ma del resto il materiale umano e tecnico rimane invariato.
