Giuseppe Materazzi, ex allenatore della Lazio dal 1988 al 1990, ha scelto di tornare nel mondo del calcio ma stavolta in quello femminile e, nel suo nuovo presente, non potevano che esserci ancora i colori biancocelesti. Il tecnico sardo ha rilasciato una lunga intervista a ilmattino.it spaziando tra il passato alla guida della Lazio, la sua nuova avventura e inoltre ha detto la sua sulla squadra di Simone Inzaghi.
Prima di tutto quale è stato il momento più importante della sua carriera da giocatore? “Spesso i momenti più importanti per un giocatore sono quelli più brutti. Ho iniziato a giocare che avevo venti anni, troppo tardi per fare il calciatore. L’anno dopo mi trasferii a Lecce pieno di entusiasmo ma il tecnico mi disse che non avrei mai potuto fare il calciatore. Sono uscito dal suo ufficio sbattendo la porta così forte che ancora sta tremando. Dopo tre mesi ero titolare nel Lecce e vi restai per sette anni da capitano. Una bella rivincita. In quel momento dimostrai di avere un gran carattere e una grande voglia di arrivare, è quello che direi ai giovani: non fermatevi, abbiate la voglia e la costanza per far parte di questo mondo”.
Cosa le ha lasciato l’esperienza da tecnico della Lazio? “Quando arrivai ero frastornato, i primi due-tre mesi guardavo tutti i programmi TV. Poi ho spento tutto e ho iniziato a vivere. Fascetti, che mi aveva preceduto sulla panchina biancoceleste, aveva fatto un gran lavoro, io ho avuto il merito di aver rilanciato ulteriormente la Lazio che qualche tempo dopo passò nelle mani di Cragnotti“.
Che ricordi ha dei tifosi biancocelesti? “Prima di tutto quello biancoceleste è un popolo. Gente passionale, pronta ad aiutarti nei momenti di difficoltà. Un popolo che è rimasto al fianco della propria squadra in serie B contro ogni difficoltà. La Lazio è una fede“.
E’ per questo che ha deciso di tornare in questo mondo? “I colori hanno influito molto. Caterina, mia moglie, l’ho conosciuta al Maestrelli. I miei figli Marco e Matteo sono laziali. Se avessi rifiutato questa opportunità mi avrebbero cacciato dalla famiglia. Era l’unico modo per poter sopravvivere (ride, ndc)”.
Quale è stato il primo impatto con le ragazze che allenerà quest’anno in serie C? “Di certo positivo. Abbiamo subito rotto il ghiaccio, credo che sia normale un po’ di imbarazzo da parte loro i primi giorni”.
Cosa pensa e cosa si aspetta dalla squadra che si accinge a guidare? “Mi aspetto grandissimi miglioramenti. Sono convinto che le ragazze abbiano grandi margini di crescita e che si possa lavorare bene con loro perché hanno delle buone basi tecniche. Secondo me un calciatore deve saper giocare sia con i piedi che con le mani e questo vale anche per le donne. C’è tanto da lavorare, altrimenti non avrebbero avuto bisogno di me”.
Lei che lo conosce bene per averlo lanciato a Piacenza cosa pensa dell’Inzaghi allenatore? “Ero molto dispiaciuto per come lo stavano trattando pochi mesi fa. Sono stato io a lanciarlo, aveva 22 anni, ma a parte l’affetto che nutro per lui sono certo che può far bene. Credo molto nel lavoro sul campo, per cui sono contento che non sia arrivato Bielsa. E’ facile fare il tecnico quando la società ti compra 7-8 giocatori forti e affermati come succede in Premier… e non faccio nomi. Ma si può vincere anche senza gente famosa e farlo lavorando giorno dopo giorno, come Ranieri, ed è sicuramente tutta un’altra soddisfazione”.
Ha visto la partita con la Juventus? “Contro i campioni d’Italia la Lazio ha giocato alla pari, aggressività e ritmo alto. Poi certo giocando contro la Juve può starci che si perda. Serve progettualità, imparando proprio dalla squadra bianconera. La loro è una squadra costruita nel tempo e ha un potenziale economico importante da mettere sul mercato. La Lazio invece deve essere brava a trovare altri 4-5 giocatori che possano fare bene e tenerli per un paio di anni. Bastos sembra essere finalmente un difensore degno di tale nome”.
Quindi questa Lazio le piace? “Si. Ai ragazzi e al tecnico non si può dire nulla. Forse sarò troppo di parte ma secondo me questa squadra può arrivare a ridosso delle prime tre”.

Nel 1943 dopo aver vinto il titolo regionale di salto in alto, viene intervistato da un giornalista de La Stampa che gli chiede di lavorare per il giornale. Mike accetta e il 5 maggio appare il suo primo articolo. L’anno dopo l’occupazione tedesca dell’Italia partecipa alla Resistenza e poi cerca di partire per la Svizzera. Fermato, sta per essere fucilato, ma i tedeschi scoprendo che è cittadino americano lo conducono al carcere di San Vittore per interrogarlo. Qui incontra Indro Montanelli. Il 26 settembre dello stesso anno viene portato nel campo di concentramento di Bolzano. Si salva grazie a uno scambio di prigionieri tra Germania e Stati Uniti.
Nel 1946 inizia a lavorare alla radio italiana di New York prima come pubblicitario, poi come addetto ai palinsesti e infine come annunciatore. Nel 1948 Vittorio Veltroni (padre di Walter), direttore del giornale radio della Rai, lo battezza Mike e gli affida l’incarico di corrispondente dagli Stati Uniti. Nel 1953 torna in Italia dove racconta la rinascita del Paese per la radio americana e ritrova la madre. L’anno dopo Veltroni gli affida “Arrivi e partenze”, il primo programma della televisione italiana. Due anni dopo parte “Lascia o raddoppia”, il quiz che cambia la storia della tv italiana. Nel 1960 è al fianco di Enzo Tortora per condurre “Campanile Sera”. Nel 1963 presenta il primo dei suoi tredici Festival di Sanremo. Nel 1970 debutta “Rischiatutto”, il 1976 è l’anno di “Scommettiamo?”. 