Ogni tanto nella vita è necessario affrontare le questioni con la carta dell’umorismo, senza prendersi troppo sul serio. Altre invece richiedono di sedersi un attimo e confrontarsi con la realtà dei fatti. Attorno alla Lazio in questo momento c’è una confusione che va razionalizzata un momento, contestualizzata per non affondare nel mare dei luoghi comuni.
La parola chiave del momento è sfiducia. Da tifosi si tende a vedere solo la propria, dopo un anno che ha riportato drammaticamente in basso le aspettative di chi, dopo il terzo posto, una finale di Coppa Italia e un settore giovanile ai massimi livelli in Italia, sognava finalmente l’auspicata svolta per una Lazio da troppo tempo costretta ad arrancare in una sorta di “aurea mediocritas” fin troppo anestetizzante.
Un anno dopo, tutto è svanito, i colori biancazzurri sono di nuovo fuori dall’Europa e dall’altra parte vengono da una striscia di tre derby consecutivi vinti. Simbolicamente (senza cadere nel tranello di chi all’occorrenza lo fa contare come una Champions League) anche lo scudetto Primavera è finito di là, in un ideale passaggio di consegne di prospettive future.
Ora, lungi da noi mettersi a tremare e battere i denti pensando all’imminente radioso futuro giallorosso che da venti anni deve arrivare e che invece ha reso l’altra squadra della Capitale la società meno vincente dell’ultimo quindicennio subito dopo la Fiorentina dei “programmatori” Della Valle. Le banalità non fanno per noi, così come il mantra “in questi dodici anni di gestione…”. No, no e no: bisogna essere lucidi. Il problema non riguarda dodici anni di gestione, iniziati tra mille difficoltà. Il campionato 2004/05 aveva attenuanti che quello 2015/16 non può avere. Il problema è ORA, e la sfiducia e il disorientamento di cui sopra sono figli di una situazione inedita, di non facile lettura.
Mai la Lazio era arrivata al 7 giugno in queste condizioni. Qualcuno ha scritto che Ballardini, Petkovic e Pioli avevano firmato a giugno inoltrato, all’inizio delle loro gestioni tecniche. Vero, ma solo nel primo caso la scelta era stata una sorta di balletto senza fine (con quali risultati stagionali, inquietantemente, si è visto poi…). “Petko” e Pioli erano stati individuati da tempo, il primo addirittura già alla fine di maggio, subito dopo l’addio di Reja. Stavolta, anche se si dovesse pescare nel mucchio di allenatori già citati (Prandelli, Inzaghi, etc.) l’incertezza è quasi palpabile.
Perché una scelta così importante come quella dell’allenatore sia stata tenuta sotto chiave, si fatica a capirlo. La parola chiave però come detto è sfiducia, e allora sembra evidente come la società stavolta, invece di provare a ricostruire, come accaduto dopo stagioni insoddisfacenti, stavolta si sia chiusa a riccio. Errore madornale di fronte a un pubblico che non vede l’ora di tornare a vivere la passione per una squadra che rischia ora di subire una nuova, devastante frattura col suo popolo. La Lazio non comunica più con l’anima dei suoi tifosi, un silenzio assordante che rappresenta un inedito anche guardando indietro agli ultimi dodici anni. L’acquisto di Hernanes, l’arrivo di Klose, piccoli tasselli che per lo meno erano indici di buona volontà, che mitigavano l’amarezza per affari sfumati all’ultimo, per stagioni piene di amarezze. Il quinto posto del 2011, il quarto del 2012, il terzo del 2015. Segnali che, pur tra alti e bassi, c’era una voglia di costruire qualcosa, pur nei limiti dei mezzi della proprietà attuale.
La sfiducia però è reciproca, e si vede anche dalla mancata pubblicazione della trimestrale (possibilità prevista dalle regole, niente di clamoroso in realtà). Qui la frattura diventa più evidente: la critica dell’ultimo bilancio è stata demenziale, evidenziando un buco da circa 15 milioni di euro come un crack devastante, quando dall’altra parte 152 milioni di passivo fanno parlare di società “attiva e fantasiosa dal punto di vista finanziario”. Qualcosa non quadra e dopo tanti commercialisti (non di più) improvvisati (gli stessi che avevano fissato il prezzo del 100% del pacchetto azionario della Lazio sui 150 milioni di euro, circa la metà dell’Udinese) a società ha chiuso ancor di più i rubinetti della comunicazione. Comprensibile, in questo caso.
Non è comprensibile invece quanto sta accadendo sul fronte allenatore. Il tifoso va vezzeggiato per definizione, è la linfa vitale di un club. Le immagini della presentazione della proprietà cinese dell’Inter fanno bramare l’avvento di una ricca proprietà, magari orientale. Quanto sta accadendo a Bari impone invece prudenza. Confusione e sfiducia, il mix è sempre quello: spesso sfociano nella rabbia e il tifoso non ne può più, si sente estraniato da una Lazio gestita unilateralmente, mentre la comunicazione intorno alla società è ormai priva di qualunque pezza d’appoggio per spiegare la situazione. Una casa dove non si parla non è più una famiglia, ma un freddo dormitorio.
Come un buon padre deve fare con un figlio, il passo in avanti verso il tifoso deve farlo la società. Lo impone il ruolo, la storia, la nobiltà di un sodalizio come quello biancazzurro: altrimenti il famoso punto di non ritorno è davvero vicino e a rischiare di pagare, come sempre, è solo la Lazio.
Fabio Belli

Nel 1968 conduce il Festival di Sanremo. Nel 1972 lavora in teatro con Sandra Mondaini e inoltre conduce la prima edizione di “Canzonissima”, con Loretta Goggi al suo fianco. Poi seguono altri programmi storici: nel 1970 “La freccia d’oro”, nel ’74 “Senza rete”, nel ’75 “Spaccaquindici” e “Un colpo di fortuna”, nel ’77 “Secondo voi”, nel ’79 “Luna Park”. Dal 1979 al 1985 presenta “Domenica in”. Dal 1984 al 1986 conduce “Fantastico”. Dal 1984 al 1986 guida “Serata d’onore”. Baudo è anche uno scopritore di nuovi talenti. In “Fantastico” del 1985 lancia Lorella Cuccarini. Inoltre lancia Heather Parisi e Beppe Grillo.
Nel 1990 ancora su Rai Uno con “Gran Premio” e con “Fantastico”. Nel 1991 “Varietà” e “Domenica in”, nel 1992 “Partita doppia”, nel 1993 “C’era due volte”, nel 1994 “Numero Uno”, “Tutti a casa” e “Luna Park”, nel 1995 “Papaveri e papere” e l’anno dopo “Mille lire al mese”. Inoltre presenta il Festival di Sanremo nelle edizioni 1968, 1984, 1985, 1987 e dal 1992 al 1996. Nel 1994 diventa il Direttore artistico del Festival della canzone italiana, stessa carica che ricopre per le reti Rai fino al maggio 1996.
Nel 2000 conduce “Nel cuore del padre”, dedicato ad Al Bano Carrisi. Segue poi il grande successo di “Novecento – Giorno dopo giorno”. Nel 2001 è ideatore e conduttore dello spettacolo di Rai Uno “Passo doppio”. Conduce poi un programma su Padre Pio dal titolo “Una voce per Padre Pio“. Viene scelto per la conduzione e la direzione artistica del Festival di Sanremo del 2002. Torna poi alla guida di “Novecento”. Poi è la volta de “Il Castello”. Nel 2003 su Rai tre conduce il varietà “Cinquanta ? Storia della Tv di chi l’ha fatta e chi l’ha vista” e per l’undicesima volta conduce Sanremo.
Nel 2004 Pippo Baudo dopo 18 anni di matrimonio si separa dalla moglie Katia Ricciarelli. Inoltre, in seguito a gravi incomprensioni con Flavio Cattaneo, direttore generale Rai, viene licenziato. Torna su Rai Uno con “Domenica In” ad ottobre 2005, a quattordici anni dalla sua ultima partecipazione allo storico programma. Con la conduzione del Festival di Sanremo 2007 (coadiuvato da Michelle Hunziker e Piero Chiambretti) supera il primato delle 11 partecipazioni che apparteneva a Mike Bongiorno, arrivando a 13 con l’edizione del 2008.
Presta la propria voce ai successi di Bing Crosby, che è in grado di imitare perfettamente, ma ben presto si rende conto che la sua voce può essere altrettanto potente. Nel 1946 al “Club 500” di Atlantic City si esibisce per la prima volta con Jerry Lewis. Da allora i due compongono una coppia comica eccezionale, che farà divertire gli americani per i dieci anni successivi. Insieme realizzano sedici film e collaborano anche in televisione. Intanto Dean nel 1954 con “That’s amore” ottiene successo anche come cantante: una dichiarazione d’amore per Napoli, la pizza e la tarantella.
A luglio del 1956 a causa di screzi personali la coppia si scioglie. Martin prosegue la sua carriera come solista conquistando grandi successi. Dopo aver inciso in italiano i pezzi “Simpatico”, “In Napoli” e “Innamorata”, negli anni sessanta entra a far parte dei Rat Pack, un gruppo musicale composto da cantanti e attori con a capo Frank Sinatra. Con loro interpreta anche i film “Colpo grosso”, “I 4 di Chicago” e “Tre contro tutti”.
Il 25 dicembre 1995, a causa di un enfisema sopraggiunto dopo anni di problemi fisici e mentali, muore a Beverly Hills. E’ stato sepolto nel cimitero di Westwood, in California: sulla tomba è stato inciso l’epitaffio “Tutti amano qualcuno prima o poi” (Everybody loves somebody sometime), dal titolo di uno dei suoi brani più celebri. Brano che fu addirittura in grado di spodestare i Beatles dalle classifiche di vendita.