Il 4 giugno 2004 dopo una lunga malattia moriva a Roma all’ospedale Nuovo Regina Margherita all’età di 83 anni l’attore Nino Manfredi. Il 9 luglio 2003 era stato colpito da una emorragia cerebrale, a settembre un lieve miglioramento e il ritorno a casa, fino a una serie di ricadute tra cui quella che gli sarebbe risultata fatale. Le sue precarie condizioni nei giorni precedenti alla scomparsa si erano aggravate ulteriormente fino al ricovero in terapia intensiva.
Grande interprete della commedia all’italiana, Manfredi ha rappresentato una delle maschere più amate e comunicative del cinema nostrano. Insieme a Gassman, Mastroianni, Sordi e Tognazzi, ha condiviso il viaggio che aveva reso grande e popolare il cinema italiano. In cinquantacinque anni di carriera ha interpretato oltre 110 film, diretto da Alessandro Blasetti, Vittorio De Sica, Nanny Loy, Luigi Magni, Antonio Pietrangeli, Dino Risi, Ettore Scola e Luigi Zampa.
Ma a fargli raccogliere i primi successi con il grande pubblico è stata la tv: prima “Canzonissima” nel 1959-60, poi per aver interpretato come testimonial per diciassette anni consecutivi la pubblicità di una nota marca di caffé, e infine, ancora alla ribalta, con fiction di successo come “Un commissario a Roma” nel 1993 e “Linda e il brigadiere” nel 1997. La prima apparizione di rilievo di Manfredi in tv è del 1956 nello sceneggiato “L’alfiere” accanto a un cast d’eccezione composto, tra gli altri, da Carlo Croccolo, Ubaldo Lay, Domenico Modugno, Ilaria Occhini, Aroldo Tieri e Monica Vitti.
Ma il successo vero e proprio lo raggiunge nel ’59 con “Canzonissima” di Garinei, Giovannini, Verde e Lina Wertmuller, condotta insieme a Delia Scala e Paolo Panelli, in cui Nino Manfredi interpretava l’indimenticabile e un po’ burino barista di Ceccano dalla tipica battuta “Fusse che fusse la vorta bbona”. Negli anni seguenti le ospitate in varietà e talk-show aumentarono fino al 1972, l’anno del “Pinocchio” di Comencini, in cui vestì i panni di Geppetto. Negli anni ’90 viene ricordato come attore di sceneggiati: nel 1992 in “In nome del popolo sovrano”, ambientato negli ultimi giorni della Repubblica Romana del 1849 (interpreta Ciceruacchio, il leggendario capopopolo romano), e poi con “Commissario a Roma”.
Nino Manfredi, che si definiva uno senza troppi peli sulla lingua, non fu particolarmente tenero nei confronti degli altri mostri sacri della commedia all’italiana. I rapporti più complicati furono quelli con Alberto Sordi, al quale Manfredi rimproverava di non aver frequentato l’Accademia d’arte drammatica e aver creato il personaggio dell’italiano medio sfigato. E quando nel 1995 Sordi ebbe il Leone alla carriera al Festival di Venezia, Manfredi commentò: “In gara mettono solo film tragici, poi i Leoni alla carriera li danno a chi ha fatto ridere. E’ una vergogna”. I due grandi attori avevano lavorato insieme in “Venezia la luna e tu” di Risi nel 1958, “Riusciranno i nostri eroi a ritrovare il loro amico misteriosamente scomparso in Africa” di Scola nel 1968 e “Nell’anno del Signore” di Magni nel 1969. Ma del resto le scintille non erano mancate neanche quando, cinque anni prima, i “quattro moschettieri” del cinema italiano si erano trovati per la prima volta tutti assieme davanti al pubblico sul palcoscenico del festival di Taormina.

A sedici anni, nel 1986, vince la medaglia di bronzo in discesa libera ai Mondiali juniores e, nell’edizione successiva, l’oro in slalom gigante e un altro bronzo in discesa. Due anni dopo subisce il primo dei suoi gravi infortuni, la rottura del ginocchio destro, seguito da un grave blocco intestinale che ne mise a rischio la vita. Una volta ripresasi, nel 1989, vince la medaglia d’oro in tutte e quattro le specialità dello sci alpino moderno ai Campionati Italiani. Nel 1991 nella Coppa del Mondo ottiene il primo podio nel gigante di casa, a Santa Caterina di Valfurva e la prima vittoria nel supergigante di Morzine nel 1992. Al debutto ai XVI Giochi olimpici invernali di Albertville 1992 conquista una medaglia d’oro nel supergigante, ma il giorno dopo in una scivolata di poco conto subisce un altro dei suoi infortuni alle ginocchia.
Quando ha potuto dimostrare il suo talento e la sua classe la sciatrice valtellinese ha sempre dominato la scena agonistica internazionale, specialmente nello slalom gigante dove tra il 1994 e il 1998 ha conquistato tutti gli ori tra Olimpiadi e Mondiali. In Coppa del Mondo ha raccolto sedici vittorie in singole gare (tredici in slalom gigante, due in supergigante e una in slalom speciale) e nel 1997 una Coppa del Mondo di slalom gigante. La Compagnoni però a causa dei suoi ricorrenti infortuni ha disputato poche stagioni complete. Tra le sue imprese una striscia di nove vittorie consecutive in slalom gigante nel 1997-1998 (otto in Coppa del Mondo più una ai Mondiali di Sestriere) e il distacco abissale di 3″41 inflitto alla Alexandra Meissnitzer nel 1997 al gigante di Park City.
Una volta ritiratasi dalle competizioni sposa Alessandro Benetton, da cui ha avuto tre figli. Nel 2002 insieme ad alcuni amici fonda a Bormio l’associazione filantropica “Sciare per la vita”, dedicata alla lotta contro la leucemia. A febbraio del 2006 è protagonista della parte finale della staffetta della fiamma olimpica all’interno dello Stadio Olimpico nella cerimonia di apertura dei XX Giochi olimpici invernali di Torino 2006. Ricevette la torcia da Piero Gros e dopo un tratto la consegnò nelle mani della fondista Stefania Belmondo.
A New York, nel Bronx, in una modesta famiglia ebrea di origini ungheresi il 3 giugno 1925 nasceva Bernard Schwartz, in arte Tony Curtis. Curtis ebbe una vita piuttosto movimentata condita da ben sei matrimoni.
In Italia divenne famosissimo negli anni ’70 a seguito della serie tv “Attenti a quei due”, che interpretava al fianco di Roger Moore.
Durante il periodo fascista il nome d’arte Wanda Osiris, viene italianizzato in Vanda Osiri. Nel 1937 viene scritturata da Macario per portare in scena “Piroscafo giallo”, una delle prime commedie musicali del nostro Paese. L’anno successivo è la volta di “Aria di festa”. Ormai la carriera della Osiris ha intrapreso la strada giusta: in “Tutte donne”, del 1940, esce da un astuccio di profumo; quattro anni dopo a Roma è insieme a Carlo Dapporto in “Che succede a Copacabana”.
I due lavoreranno insieme anche ne “L’isola delle sirene”, “La donna e il diavolo” e, dopo la Liberazione, a Milano nel Gran Varietà. Nel 1946 appare in “Si stava meglio domani” e soprattutto in “Domani è sempre domenica”, dove Wanda si mostra uscendo da una conchiglia come una Venere. Tra le sue canzoni più celebri di quel periodo si ricordano “Donna di cuori”, “L’ultimo fiore”, “Il mio saluto”, “Prima luna” e “Ti porterò fortuna”.
A dispetto della sua eccentricità è una donna molto generosa, sia nella vita che sul palcoscenico. Fervente cattolica, diventa la prima icona gay in un’epoca in cui l’omosessualità va tenuta nascosta. Nei suoi spettacoli lavorano giovani alle prime armi come Alberto Lionello, Nino Manfredi ed Elio Pandolfi.