Nato il 19 febbraio del 1953 a San Giorgio a Cremano, cittadina a quattro chilometri da Napoli, Massimo Troisi è cresciuto in una famiglia numerosa, abitando in una casa oltre che con i suoi genitori e i suoi cinque fratelli anche con due nonni, gli zii e i loro cinque figli.
Sin da studente iniziò ad avvicinarsi al teatro recitando in un gruppo teatrale “I Saraceni“, di cui facevano parte Lello Arena, Enzo Decaro, Valeria Pezza e Nico Mucci. Nel 1972 con gli stessi compagni di avventura fonda all’interno di un ex garage del suo paese natio il Centro Teatro Spazio. Nel 1977 nasce “La Smorfia“: Troisi, Decaro ed Arena iniziano a recitare al Sancarluccio di Napoli e il successo teatrale si trasformerà ben presto in grande successo televisivo. Il successo arriva prima alla radio con “Cordialmente insieme” e poi in tv nel 1976 con “Non stop” e nel 1979 con “Luna Park”. In quegli anni il gruppo registra tra gli altri gli sketch dell’Arca di Noè, dell’Annunciazione, dei Soldati, di San Gennano. L’ultimo spettacolo teatrale de La Smorfia è “Così è (se vi piace)”.
Dal 1981 Troisi comincia l’avventura nelle sale cinematografiche con il primo film di cui è regista e protagonista: “Ricomincio da tre”. Nel 1984 è insieme a Benigni nel film “Non ci resta che piangere”. Nel 1985 la curiosa interpretazione di “Hotel Colonial”. Due anni dopo, nel 1987, è la volta di “Le vie del Signore sono finite”. Poi l’artista è protagonista di tre film di Ettore Scola: “Splendor” (1989); “Che ora è” (1989), con cui ha vinto il premio come migliore attore (in coppia con Marcello Mastroianni) alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, e “Il viaggio di Capitan Fracassa” (1990). L’anno successivo firma la sua quinta regia cinematografica: “Pensavo fosse Amore… invece era un calesse”. Il 4 giugno 1994 Troisi a Ostia, in prov. di Roma, ventiquattro ore dopo aver terminato le riprese de “Il postino”, muore nel sonno a causa del suo cuore malato.

A sedici anni, nel 1986, vince la medaglia di bronzo in discesa libera ai Mondiali juniores e, nell’edizione successiva, l’oro in slalom gigante e un altro bronzo in discesa. Due anni dopo subisce il primo dei suoi gravi infortuni, la rottura del ginocchio destro, seguito da un grave blocco intestinale che ne mise a rischio la vita. Una volta ripresasi, nel 1989, vince la medaglia d’oro in tutte e quattro le specialità dello sci alpino moderno ai Campionati Italiani. Nel 1991 nella Coppa del Mondo ottiene il primo podio nel gigante di casa, a Santa Caterina di Valfurva e la prima vittoria nel supergigante di Morzine nel 1992. Al debutto ai XVI Giochi olimpici invernali di Albertville 1992 conquista una medaglia d’oro nel supergigante, ma il giorno dopo in una scivolata di poco conto subisce un altro dei suoi infortuni alle ginocchia.
Quando ha potuto dimostrare il suo talento e la sua classe la sciatrice valtellinese ha sempre dominato la scena agonistica internazionale, specialmente nello slalom gigante dove tra il 1994 e il 1998 ha conquistato tutti gli ori tra Olimpiadi e Mondiali. In Coppa del Mondo ha raccolto sedici vittorie in singole gare (tredici in slalom gigante, due in supergigante e una in slalom speciale) e nel 1997 una Coppa del Mondo di slalom gigante. La Compagnoni però a causa dei suoi ricorrenti infortuni ha disputato poche stagioni complete. Tra le sue imprese una striscia di nove vittorie consecutive in slalom gigante nel 1997-1998 (otto in Coppa del Mondo più una ai Mondiali di Sestriere) e il distacco abissale di 3″41 inflitto alla Alexandra Meissnitzer nel 1997 al gigante di Park City.
Una volta ritiratasi dalle competizioni sposa Alessandro Benetton, da cui ha avuto tre figli. Nel 2002 insieme ad alcuni amici fonda a Bormio l’associazione filantropica “Sciare per la vita”, dedicata alla lotta contro la leucemia. A febbraio del 2006 è protagonista della parte finale della staffetta della fiamma olimpica all’interno dello Stadio Olimpico nella cerimonia di apertura dei XX Giochi olimpici invernali di Torino 2006. Ricevette la torcia da Piero Gros e dopo un tratto la consegnò nelle mani della fondista Stefania Belmondo.
A New York, nel Bronx, in una modesta famiglia ebrea di origini ungheresi il 3 giugno 1925 nasceva Bernard Schwartz, in arte Tony Curtis. Curtis ebbe una vita piuttosto movimentata condita da ben sei matrimoni.
In Italia divenne famosissimo negli anni ’70 a seguito della serie tv “Attenti a quei due”, che interpretava al fianco di Roger Moore.
Durante il periodo fascista il nome d’arte Wanda Osiris, viene italianizzato in Vanda Osiri. Nel 1937 viene scritturata da Macario per portare in scena “Piroscafo giallo”, una delle prime commedie musicali del nostro Paese. L’anno successivo è la volta di “Aria di festa”. Ormai la carriera della Osiris ha intrapreso la strada giusta: in “Tutte donne”, del 1940, esce da un astuccio di profumo; quattro anni dopo a Roma è insieme a Carlo Dapporto in “Che succede a Copacabana”.
I due lavoreranno insieme anche ne “L’isola delle sirene”, “La donna e il diavolo” e, dopo la Liberazione, a Milano nel Gran Varietà. Nel 1946 appare in “Si stava meglio domani” e soprattutto in “Domani è sempre domenica”, dove Wanda si mostra uscendo da una conchiglia come una Venere. Tra le sue canzoni più celebri di quel periodo si ricordano “Donna di cuori”, “L’ultimo fiore”, “Il mio saluto”, “Prima luna” e “Ti porterò fortuna”.
A dispetto della sua eccentricità è una donna molto generosa, sia nella vita che sul palcoscenico. Fervente cattolica, diventa la prima icona gay in un’epoca in cui l’omosessualità va tenuta nascosta. Nei suoi spettacoli lavorano giovani alle prime armi come Alberto Lionello, Nino Manfredi ed Elio Pandolfi.