“Eppur si muove” diceva Galileo Galilei, per descrivere il movimento della terra che, agli occhi di chi non sapeva osservare, appariva invece immobile. Lo stesso concetto può essere trapiantato nel mercato biancoceleste: appartemente immobile ma in realtà, anche se per inerzia, mostra dei movimenti sul fronte “cessioni”. La rivoluzione è effettivamente iniziata: da oggi (primo luglio, giorno di apertura ufficiale del mercato in Serie A) sono ufficialmente svincolati Stefano Mauri, Abdoluay Kongo ed Edson Braafheid.
MAURI ADDIO 2.0 – L’ex capitano biancoceleste già l’anno scorso aveva detto addio ai colori biancocelesti, ma
l’amore per questi colori e la voglia matta di disputare la Champions (poi mancata clamorosamente) con gli altri compagni della banda Pioli è stato un richiamo troppo forte a cui non poté resistere. Questa volta, dopo 10 anni e 303 presenze, l’addio sembra essere definitivo. L’agente spera fino all’ultimo in una chiamata della società forte di una stretta di mano tra le parti molti mesi fa, ma sappiamo quanto contano a Formello le strette di mano (vedi Prandelli). L’amore per la Lazio non pone dubbi, ma la voglia di sentirsi protagonista (e non una semplice pedina per arginare la regola inerente gli italiani in rosa) è ancora tanta e se non puo’ esserlo nella squadra che ama allora è giusto andare altrove. La delusione però è tanta perché avrebbe voluto per lo meno lasciare in modo decisamente diverso. In ogni caso su Mauri c’è l’interesse del Pescara, in un piccolo club come quello abruzzese può sicuramente dire la sua ancora in Serie A. Quest’anno con la maglia biancoceleste 19 apparizioni e 1 gol. La Lazio perde un leader preziosissimo, uno dei pochi che ci ha sempre messo la faccia sopratutto in una stagione orribile come quella appena conclusa poco più di un mese fa. Ma come si dice sempre? Show must go on…Una cosa è sicura questo è un addio come calciatore della Lazio…ma NON come Laziale. Un giorno potrebbe tornare come dirigente. Nel frattempo la redazione di Laziochannel.it vuole fare i più sentiti ringraziamenti al capitano biancoceleste: Stefano Mauri.
KONKO, CHISSA’ COME SAREBBE ANDATA SE… – E’ finito anche il tempo di Bubù Konko con la maglia
biancoceleste. L’anno scorso è stato sicuramente una delle poche note liete della stagione, garantendo anche una continuità “impressionante” di presenze tra campionato e coppe, probabilmente il suo record personale in assoluto. Niente infortuni, prestazioni sempre ottime, totale? 29 presenze di livello. Era sparito dai radar, ma l’infortunio di Basta impose a Pioli di far necessità virtù con la speranza che (vista la facilità di infortunio che aveva) potesse resistere il più possibile. Poi il miracolo, cioè la sua bella stagione personale. Le malelingue sottolineano come sia strano che proprio nell’ultimo anno di contratto Bubù ha fatto la sua miglior stagione alla Lazio, ma sono chiacchiere che lasciano il tempo che trovano. Visto l’ultimo rendimento (anche se non è più un ragazzino) il rinnovo era più che meritato. La curiosità però sorge spontanea: chissà come sarebbe andato il suo percorso in maglia biancocleeste se fin dall’inizio avesse garantito questa continuità…Purtroppo non lo sapremo mai. In ogni caso buona fortuna Bubù.
BRAAFHEID, UN VERO PECCATO – Il terzino olandese, arrivato tra tanta curiosità e scetticismo, aveva iniziato la sua avventura laziale alla grande. Sopratutto nei primi mesi di Pioli sembrava essere una risorsa preziosissima su cui puntare addirittura da titolare per tutto il campionato. Un brutto infortunio purtroppo stroncò la sua ascesa e da quel momento è misteriosamente sparito dai radar di Stefano Pioli. Appena 5 presenze, soltanto 3 da titolare tra il 2015 e il 2016. Ora a 33 anni, si guarda intorno alla ricerca dell’ultimo contratto della sua carriera.
Marco Lanari

Nel 1963 la famiglia si trasferì a Wellingbro, nel New Jersey, e William ed Evelyn fondarono un Club di atletica leggera. Non avendo una baby-sitter a cui affidare il piccolo Carl, i genitori lo portavano al Club e mentre si allenavano lo lasciavano giocare nella fossa di sabbia della pedana del salto in lungo. Gli inizi della carriera sportiva furono difficili ma la stoffa c’era doveva solo crescere fisicamente. A 14 anni divenne il miglior saltatore in lungo dello stato del New Jersey e grazie ai successi raggiunti il ragazzo iniziava a fare gola a molte università; Lewis scelse la Houston University, spinto dalla presenza di un famoso allenatore di atletica, Tom Tellez. Come dichiarato dallo stesso Carl gran parte dei grandi risultati conseguiti sono stati merito della loro collaborazione.
Ma la ribalta mondiale era vicina e Carl si fece trovare pronto conquistando ai Campionati del Mondo di Helsinki nel 1983 tre medaglie d’oro e diventando per tutti l’erede di Jesse Owens. A 48 anni dalle Olimpiadi di Berlino del 1936 e dal record dello stesso Owens alle Olimpiadi di Los Angeles disputate l’anno dopo eguaglia il primato di vincere quattro medaglie d’oro nelle discipline simbolo dell’atletica: 100 metri, 200 metri, salto in lungo e staffetta 4 per 100. Da quel momento in poi Carl Lewis, come Owens, divenne per tutti il “figlio del vento”. Lewis divenne un personaggio popolarissimo, un classico “self made man” ma lo show business non lo distrasse più di tanto visto che continuava a raccogliere successi e record. Nessuno sembrava essere alla sua altezza, nessuno tranne Ben Johnson.
I due si sfidarono nella finale dei 100 metri alle Olimpiadi di Seul 1988, gara che passò alla storia per lo scandalo doping. Lewis corse in 9’92 ma il canadese Johnson trionfò con il tempo di 9’78. Sembrava dovesse essere l’inizio del declino per Lewis, nonostante la conquista della medaglia d’oro nel lungo e l’argento nei 200 metri. Alcuni giorni dopo Ben Johnson venne però squalificato per uso di droghe e a Lewis venne assegnata anche la medaglia d’oro dei 100 metri.
Nel 1992 Lewis difese per la terza volta il suo titolo nel salto in lungo ai Giochi Olimpici di Barcellona, dove riesce a conquistare un altro oro con la vittoria nella 4×100 USA. Quattro anni dopo, nel 1996 ad Atlanta, a 35 anni suonati Lewis è ancora una volta in pedana nella finale del salto in lungo. A dodici anni dal suo primo successo olimpico nessuno crede in una sua nuova impresa. Prima del sesto e ultimo salto non si trovava nemmeno in zona podio ma, all’ultimo salto della sua carriera, fra lo stupore e il giubilo generale King Carl balzò al primo posto conquistando la quarta medaglia d’oro olimpica consecutiva nel salto in lungo. Da quel giorno si dedicò alle sue fondazioni benefiche (ben quattro), alla sua linea di moda e alla sua innata passione: la recitazione. Il suo palmares finale alle Olimpiadi recita: 9 medaglie d’oro e 1 medaglia d’argento conquistate in 4 diverse edizioni.


